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Articolo inserito da Giuliana Monti in data 24/12/2008
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1^ elementare anno scolastico 1955-‘56

1^ elementare anno scolastico 1955-‘56

Maestra:
ZANOTTI CAVINA BIANCA
In piedi da sinistra: 
Porcellini Alvirina, Villa Naide, Piolanti Annetta, Lepretti Valeria, Maltoni Lidia, Monti Giuliana, Bosi Gabriella, Ciani Luciana, Treossi Vanda, Flamini Anna, Rinaldini Giuliano.
Seduti da sinistra:
Ciani Luciano ( deceduto in un incidente stradale), Rabiti Marino, Fantini Luigi,Severi Renzo,Altini Franco,Rinaldini Giovanna, Vincoli Rosina, Betti Aldo, Severi Giovanni (Valerio), Ponti Roberto,………Evaristo.

 

Il 1^ ottobre del 2005  la classe si è ritrovata per celebrare il cinquantesimo anniversario , e da allora rinnova l’incontro ogni anno  all’inizio di ottobre.
“LA VOCE” del 5 ottobre 2005 riporta accostate le foto del 1955 e del 2005
Sabato, 1^ ottobre 2005  sono stati rivisitate le radici di quei tanti ricordi comuni attraverso la lettura di un documento riportato qui di seguito

Vecchiazzano    1^ ottobre 2005

Per un momento proviamo a chiudere gli occhi  e far girare indietro le frecce dell’orologio anno per anno fino ad arrivare agli anni  ’50.   Come si presenta Vecchiazzano?    Un piccolo paese di campagna  nella prima periferia della città.

Il centro  è così composto:
la CHIESA  nel cui piazzale si trovano il “ passavolante”  a sinistra,  e l’altalena a destra di fronte alla canonica, continuamente contesi da noi bambini all’uscita dal catechismo;   la bottega del GNU  ove si possono comprare 10 moretti con dieci lire, un chilo di zucchero o di sale contenuti scrupolosamente in un “ cartoccio” confezionato con cura da Ugo  o Giordano;   l’officina del fabbro  PASI  Paris all’inizio della   Strada di S. Lorenzo, (così  denominata l’attuale Via Veclezio) a cui i nostri  genitori si rivolgono per aggiustare i loro modesti attrezzi  o per richiederne dei nuovi;   la bottega di  NANDI’ , il meccanico da biciclette,  che rappresentano a quei tempi l’unico mezzo veloce per raggiungere la città;  IL CIRCOLO  un po’ più  avanti a destra, ove qualche volta si esibisce l’orchestra e noi bambini , accompagnati dai nostri genitori, abbiamo l’opportunità di ascoltare la musica  per la prima volta, in quanto pochi di noi posseggono la radio;  LA SCUOLA ELEMENTARE, al bivio fra via Tomba e Via Castel Latino, presentataci dai nostri genitori e dai nonni, in maggioranza analfabeti,   come un luogo di duro lavoro e sofferenze creato apposta per far rigar dritto i bambini.
Ci allontaniamo un po’ a macchia d’olio percorrendo strade ghiaiate e polverose  e entriamo subito in aperta campagna con case coloniche disseminate qua e là in mezzo ai campi verdi o biondeggianti , delimitati da lunghi filari di viti o da boschetti che sorgono in prossimità dei confini fra un podere e l’altro o lungo il corso del fiume.  La maggioranza di noi è nata e  ha vissuto la prima infanzia in queste case la cui
facciata non è girata verso la strada come quelle attuali, ma a est o a sud, quasi a voler sottolineare il forte legame degli abitanti alla luce e al sole, fonte di energia e vitalità.
Di fronte l’aia, ove si erge nel mese di giugno e “ berc” la bica, sulla cui cima si pianta una croce di canna ornata da una ghirlandetta di spighe, per chiedere la protezione del Signore contro la grandine , la pioggia e il fuoco.
Si attende poi la trebbiatura, che rappresenta per noi bambini un momento di festa: l’aia è invasa dal trattore, dalla trebbiatrice  e dai tanti operai che, in mezzo a un polverone infernale e a  un sole cocente,  lavorano dall’alba fino al  tramonto.
La mia mente ha fotografato con estrema precisione i volti di alcune donne addette al trascinamento della  “pula”;  per proteggersi dalla polvere nera e fitta, hanno il volto coperto da una calza di nylon, che sfilano al termine del loro turno di lavoro per coprirsi la nuca con un  fazzoletto.
Allora non riuscivo a capire perché, così accaldate, sentissero la necessità di coprirsi, ma ora, che ho abbondantemente superato i loro anni, anch’io  ne faccio uso per evitare attacchi piuttosto dolorosi di cervicale.
Per delimitare l’aia troviamo una fila di pagliai, la siepe di biancospino e numerose capanne addette al ricovero degli attrezzi e degli animali; attraversando l’aia ci troviamo di fronte alla porta d’ingresso della casa,  ove premendo  una semplice leva “la rameta”  ci immettiamo direttamente in cucina che si presenta molto spaziosa e adatta ad  accogliere i numerosi componenti della famiglia, i parenti e i vicini che non mancano mai soprattutto nelle ricorrenze festive e nelle serate d’inverno. Ci si riunisce attorno al grande tavolo al semplice calore del camino o della stufa a legna multifunzionale, usata per riscaldare l’ambiente, cucinare i cibi, asciugare i pochi indumenti  e riscaldare l’acqua per lavarsi  ecc……
Il gioco delle carte la fa da padrone e noi bambini accoccolati vicino ai genitori osserviamo attentamente e ascoltiamo le espressioni colorite degli adulti.
Molto spesso ci coglie il sonno  e la mamma ci accompagna a letto dopo aver avuto cura di riscaldarlo con “ e prit” lo scaldaletto.
 Chi di noi non ricorda ancora a distanza di tanti anni la soddisfazione che si prova infilandosi sotto le lenzuola calde e fumanti per l’umidità in quelle stanze  fredde dai soffitti in legno, alti  e tenebrosi?
Al risveglio il freddo gelido si ripropone non appena si aprono le persiane.  Dalla grondaia penzolano lunghi ghiaccioli che a volte noi bimbi mettiamo a pezzi in un bicchiere, vi aggiungiamo un goccio di vino e un po’ di zucchero  e ci illudiamo di aver preparato una bibita invitante e fantasiosa.
In autunno il profumo del vino novello  e i numerosi moscerini usciti dai tini invadono  le nostre case e in quel lontano ottobre del ’55 scandiscono anche il momento di andare a scuola.
Indossando un grembiulino a quadretti bianco e rosso per le femmine e nero per i maschi, abbellito da un colletto bianco con nastro azzurro, ci avviamo verso la nuova scuola accompagnati, come di consuetudine a quei tempi,  dalla mamma .
Giunti al cancello le emozioni si fanno più intense, i pensieri si susseguono e si accavallano;  alla curiosità subentrano la timidezza, la paura, l’angoscia di non essere in grado di affrontare questo grande appuntamento  a volte tanto atteso , a volte non sempre desiderato.
Ad accentuare il nostro disagio ci pensa la bidella   BERTA  che, con le mani sui fianchi e  con tono austero, si presenta al portone d’ingresso per farci “traghettare “,  come il  Caronte dantesco,  all’interno della scuola.
Lì, girando a destra dopo aver attraversato il corridoio ove si trovano anche i bagni, entriamo nell’aula assegnataci ,  a piano terra , spaziosa con ben cinque finestre e in fondo con una stufa di terracotta, di cui ricordo più il fumo che annebbiava l’ambiente che il calore profuso.
Tre file di banchi dividono l’ambiente  e a destra dalla porta d’ingresso si trovano la cattedra e la lavagna disposta ad angolo.
In piedi di fronte alla cattedra ci attende con un sorriso garbato la nostra maestra,  ZANOTTI CAVINA BIANCA.
Alta e slanciata, indossa un grembiule nero stretto alla vita ; si presenta già dal primo giorno molto diversa da come noi immaginiamo: è dolce, affabile, premurosa ma anche energica per quel tanto che basta ad arginare le irruenze di alcuni di noi che si ostinano a non obbedire o a far baccano.
Ci sorprende subito la sua dolcezza accentuata dai lineamenti  pressoché perfetti del suo volto:  gli occhi scuri lasciano trapelare un velo di malinconia in contrasto col sorriso  affabile e cordiale  incorniciato da una bocca carnosa, i cui tratti tanto perfetti, ricordo con maggior precisione ; i capelli, sempre curati, sono divisi da una riga laterale ; le mani lunghe ed affusolate  tracciano sui nostri quaderni caratteri   ordinati e precisi.
Queste caratteristiche fanno della  nostra maestra una bella signora.
Assegna i banchi, tenendo conto dell’altezza: i più piccoli davanti, i più alti in fondo evitando rigorosamente di fare accoppiamenti promiscui, proibiti a quei tempi e forse non a torto se è vero che proprio in quei banchi nascono le prime simpatie e i primi amori che rimangono impressi  nella memoria per sempre !
Di quel periodo ognuno di noi ha memorizzato con rigorosa precisione   immagini,  ambienti e fatti  scaturiti da una fantasia fervida che esalta i nostri sentimenti e i nostri affetti,  intensi  e profondi  non sempre manifestati,  ma  vivi tutt’ora  nel nostro cuore.
E’ su quei banchi, col sedile mobile, che inizia la nostra avventura.
Il primo giorno la maestra ci assegna come  esercizio di indicare un puntino su ogni quadretto, poi via via di tracciare un’asta verticale, poi una orizzontale  ed una obliqua; solo dopo aver preso dimestichezza con la matita ci mostra le prime lettere apponendo su ognuno dei nostri quaderni un timbro ad inchiostro raffigurante un’immagine da colorare, così per la lettera   “a”  l’asino mezzo di trasporto più conosciuto a quei tempi dell’aereo, per la lettera  “b”  la bambola, per la lettera “c” il cane e così via fino ad arrivare alla lettera “z”  rappresentata dalla zappa, strumento di lavoro molto usato e conosciuto.
Ai quattro angoli del timbro appaiono le lettere in corsivo e in stampatello minuscolo e maiuscolo, per facilitare la lettura attraverso il loro riconoscimento.
Per farci apprendere i numeri e iniziare a contare ci fa portare un sacchettino di fagioli  che rappresentiamo sul foglio con un quadretto e una pallina colorati.
I problemi veri arrivano quando dobbiamo usare il pennino con l’inchiostro, che fatica!
Sul banco abbiamo ciascuno un calamaio dove intingere il pennino e iniziare a scrivere le prime lettere e i primi numeri.  Chi non ricorda  le macchie di inchiostro su quei quaderni  dalla copertina nera e dai fogli giallastri bordati di rosso che molto spesso acquistiamo nel  negozio  vicino alla scuola,  gestito dalla  “RITA”, madre  della nostra compagna Naide !
Il  nettapenne di panno a forma di fiore con le foglie verdi rappresenta un grande aiuto , ma non ci esime dal commettere veri disastri con l’inchiostro, a volte rimediabili con la gomma , altre invece strappando il foglio.
“FIORI  DEL MATTINO “  è il nostro libro di lettura  che raccoglie in sé il nostro sapere: i primi racconti  come “Cinesini a cena,  “ Il chiodino”, “ Il porcellino” ; le prime poesie come “ La mia casetta ” , “ Il papà ”, “ La barchetta “ ecc….
In cinque anni abbiamo imparato a leggere e a scrivere, a far di conto, a localizzare le più importanti città  italiane, a conoscere  i monti, i fiumi e i laghi  del nostro territorio, a ricordare le più importanti battaglie susseguitesi nella storia, ad assegnare alle varie festività il loro significato, ma soprattutto abbiamo appreso i principi fondamentali  , utile guida  per affrontare la vita  quotidiana:  il sacrificio ;  il senso del dovere e della responsabilità per il nostro lavoro;  il rispetto dei compagni , delle cose di uso comune e degli orari ;  il riconoscimento dell’autorità dell’adulto ( la maestra);  il superamento dei primi insuccessi e delle prime delusioni, che ci ha aiutato a crescere più forti e più sicuri .
Alla fine della quinta alcuni di noi proseguono gli studi,  altri rimangono in famiglia a dare il  proprio contributo,  altri ancora iniziano qualche lavoretto.
In comune abbiamo la tenacia, la forza e la risolutezza di raggiungere i nostri obiettivi, non importa con quanto dispendio di energie, siamo abituati sin da piccoli all’impegno e  al sacrificio.
La famiglia e il lavoro sono i nostri capisaldi a cui dedichiamo tutto noi stessi ,  pur non trascurando il divertimento, non importa quale:  chi ama viaggiare, chi si reca spesso a ballare, chi ama trovarsi con gli amici a cena  o in altro luogo per stare in compagnia,   chi preferisce dopo una giornata dura e faticosa, trascorrere la serata in famiglia stretto  alla moglie o al marito.
Di certo abbiamo custodito  inconsapevoli  per tanti anni  quel prezioso affetto nato e cresciuto sui banchi di scuola, se è vero che è bastata una semplice lettera di invito  per farlo risvegliare  con   l’entusiasmo e l’interesse che oggi manifestiamo.
Nel rivolgere un pensiero ai compagni che non ci sono più,  vogliamo ricordare di essere qui non per vantarci di ciò che abbiamo ma per riconoscerci in quei valori e in quei sentimenti che per mezzo secolo hanno contraddistinto la nostra vita,  facendoci amare ed apprezzare dalle persone che ci sono state vicine e che hanno avuto l’opportunità di trovarsi sulla nostra strada.
Siamo ancora forti, dinamici e sufficientemente giovani, per affrontare altri cinquant’anni di vita con lo stile e la fermezza  di sempre .
Nella speranza che una serata come questa  abbia  arricchito di significato   e di contenuto  la sfera dei nostri affetti,  e che possa essere riproposta con più frequenza,
Vi abbraccio tutti con antico e profondo affetto.

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