Articolo inserito da Gilberto Giorgetti in data 30/08/2006
Ridiamoci su
letto 13610 volte in 18 anni 4 mesi e 5 giorni (2,03)
Che Botto!
Faceva piuttosto freddo e una leggera nebbia inumidiva l’aria e l’asfalto della strada. Anche quella sera, come al solito, ci riunimmo davanti alla tabaccheria del Gnu per incontrarci con altri amici, ma ci trovammo solo in tre, Gino, Bruno ed io. Dopo una breve ed inutile attesa pensammo di rompere la malinconia di quella tediosa serata d’inverno.
Non ricordo bene a chi venne l’idea ma insieme decidemmo di fare un botto nel piazzale della chiesa. Gino riaprì la bottega da fabbro e insieme entrammo per reperire un enorme sacco di nailon che poi Gino stesso riempì con gli elementi della fiamma ossidrica, un miscuglio di idrogeno e di ossigeno che sicuramente non avrebbe disatteso l’aspettativa.
Saranno state circa le undici di notte quando trasportammo in silenzio l’enorme pallone, più alto di noi, nel piazzale della chiesa. Per strada non c’era nessuno, solo qualche bicicletta e rari motorini a lunghi intervalli fra loro illuminavano coi poveri fari la desolazione della via Castel Latino.
Gino piazzò il pallone dietro al gruppo di pini davanti alla strada e poi lo fissò con un grosso sasso al suolo perché non volasse via; collegò la chiusura del sacco con un foglio di giornale a mo di miccia e tutto era pronto per l’esperimento.
Prima di dar fuoco alla carta pensammo che Bruno ed io era meglio che andassimo a fermare eventuali passanti per non farli trovare nel bel mezzo del botto.
Bruno si diresse al bivio di via Caste Latino con via Veclezio per avere il controllo delle due strade, mentre io, alzandomi il bavero del cappotto, m’incamminai oltre le case Filén e Sbaraia.
Così Gino rimase solo per far scoppiare il pallone.
Dopo poco tempo una luce giallognola apparve oltre la curva di Cionca e presto mi fu vicina. Alzando un braccio fermai un uomo su di un motorino che incuriosito e mezzo impaurito mi chiese cosa stava succedendo. Gli risposi che stavamo per fare un botto, quando una forte deflagrazione risuonò alta nell’aria. Dissi con l’uomo che poteva ripartire, lui mi guardò stupefatto e subito riprese il suo viaggio verso casa.
Quando ritornai sul piazzale Gino era mezzo stordito e stava spiegando a Bruno che aveva acceso il giornale e poi si era nascosto nei pressi della canonica per non essere investito dall’esplosione, ma si accorse che stava trascorrendo molto tempo e pensò che la carta si fosse spenta, così ritornò per riaccenderla e quando fu vicino al sacco questo esplose e si trovò sbalzato e confuso a trenta metri dal sacco.
Il giorno dopo nel centro di Vecchiazzano tutti parlarono del botto, alcuni lamentarono la rottura dei vetri della finestra e la famiglia Ponti si trovò con l’armadio spostato dalla parete. Anche l’uomo che avevo fermato lungo la strada andava dicendo che prima del botto era stato fermato da un soldato perché stavano facendo brillare un ordigno bellico davanti alla chiesa e aggiunse che dopo il boato aveva guardato in giro ma non vide segni di esplosione.