Articolo inserito da Gilberto Giorgetti in data 06/08/2006
Storia
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Vecchiazzano fra Ottocento e Novecento - SETTIMA PARTE
Silvio Corbari e Iris Versari in casa Sbaraglia a Vecchiazzano
Erano circa le ore 13,30 di sabato 12 agosto 1944, quando suonò improvvisamente l’allarme. A Vecchiazzano la famiglia Sbaraglia aveva appena terminato di pranzare, quando al suono della sirena, Giovanni Sbaraglia, suo figlio Bruno e la nuora Ida, corsero fuori per accertarsi che non vi fossero degli aerei in vista. In quell’istante, un uomo e una donna in bicicletta, provenienti da Ladino, girarono verso la casa. L’uomo indossava una giacca di colore grigio, che lasciava intravedere una maglietta leggera, accollata e scura; la donna, invece, aveva una camicetta a maniche corte e una sottana a pieghe.
L’uomo, rivolgendosi a Bruno, chiese ed ottenne di fermarsi in casa Sbaraglia, finché non fosse cessato l’allarme.
Così, l’uomo appoggiò una nuova “valencia” al masso, sulla destra della porta d’ingresso, e si tolse la giacca per gettarla sull’involto di juta, che era legato attorno alla “canna” della bicicletta, dove era evidente la sagoma di un’arma. Poi, l’uomo chiese se per andare a Forlì c’erano dei posti di blocco tedeschi. Rispose Bruno: “Se dovete andare a Forlì e siete persone “in vista”, vi dico di stare attenti perché a Ravaldino c’è un posto di blocco e fermano tutti”.
Allora l’uomo si rivolse alla donna e le chiese di proseguire da sola, poi andando alla tasca le porse una manciata di soldi, dicendo: “Mi raccomando dove passi paga”. La donna, senza indugio, intascò la somma, girò la bicicletta, salutò i presenti e ripartì .
L’uomo chiese di poter nascondere la bicicletta in casa e, avendo il consenso della famiglia, l’appoggiò ad una parete della sala grande. I convenuti poi sedettero attorno ad un tavolo per bere insieme un bicchiere di Sangiovese.
Faceva molto caldo e fuori la campagna era ormai spoglia. L’uomo bevve e, curiosamente, chiese cosa pensava la gente di Corbari. Giovanni rispose che di Corbari si esaltavano le gesta e tutti ne parlavano bene.
Bruno, a sua volta, gli chiese se sapeva chi avesse ucciso il maresciallo maggiore dei carabinieri di Rocca S. Casciano, Guglielmo Accardi. L’uomo, senza esitare, rispose: “L’ha ucciso lei (Iris Versari), lo so bene perché c’ero anch’io”.
Bruno, sempre più incuriosito, volle sapere se era vero che Corbari vestito da frate era stato all’ospedale a far visita ad un parente ricoverato. Ancora una volta l’uomo confermò.
Queste risposte precise - che ancora oggi potrebbero indurre a scetticismo gli storici, dal momento che l’attività partigiana della “banda Corbari” non divulgò mai documenti in merito alle loro azioni di guerriglia - persuasero Bruno che l’uomo, col quale sta parlando, fosse proprio Corbari. Inoltre, la statura dell’uomo, circa un metro e settanta, i capelli di colore castano-biondo e la fronte stempiata, da una precoce calvizie, non fecero altro che rafforzare l’ipotesi di Bruno, che cercava di controllare la propria curiosità senza chiedergli il nome. A sua volta, l’uomo diede l’impressione di non volersi esporre troppo e così il dialogo proseguì in assoluto anonimato.
Inoltre, Bruno gli chiese a quale partito appartenesse Corbari; l’uomo rispose che Corbari non era iscritto a nessun partito, ma lottava solo per liberare l’Italia dai nazifascisti.
Nel frattempo dalla porta, che era rimasta aperta e si notava l’esterno dell’abside della chiesa, appare Bice, moglie di Mario il barbiere di famiglia, che abita a Forlì in via Sant’Antonio Vecchio. La donna era solita recarsi a casa Sbaraglia e, in questa occasione, era venuta per fare un po’ di provviste alimentari, specialmente di uova.
Poco dopo giunse, anche, l’amico di Bruno, Glauco Casadei di Caiossi, che senza entrare in casa, lo chiamò fuori e insieme s’incamminarono verso il pozzo. Bruno disse: “Sai Glauco che in casa c’è un uomo che penso sia Corbari!”. Rispose l’amico: “Cosa dici! …Fammi entrare che io ho visto delle sue foto e posso riconoscerlo”. Poi entrambi entrarono in casa, mentre l’uomo stava conversando con Giovanni. Bruno e Glauco sedettero con loro davanti alla tavola e nel frattempo Bice salutò e ritornò a casa. Glauco, approfittando dell’interruzione, si alzò e con un pretesto si congedò dal gruppo.
L’uomo fece notare la sua preoccupazione per il ritardo della donna e anche un certo fastidio per il continuo via vai di persone in quella casa. Ogni tanto, si alzava dalla sedia e interrompendo il dialogo, usciva di casa e commentava il ritardo della compagna.
Trascorse poco tempo, quando Glauco ritornò e richiamò fuori Bruno, per confermargli che l’uomo era veramente Corbari. Entrambi poi rientrarono in casa, mentre Giovanni diceva: “In questi giorni dobbiamo anche portare le vacche al raduno…”. Interruppe l’uomo: “Come! …Voi portate ancora le vacche al raduno? Dove siamo noi, i contadini le portano a noi!”.
Una voce chiamò da fuori casa. Era Vittoria Casadei, detta Vitöria ad Còngia, che portava i giornali. Giovanni la invitò ad entrare e anche l’ospite comprò un quotidiano, che pagò con una moneta “grossa”. Vittoria stava per dargli il resto, quando l’uomo rifiutò e le disse di tenerlo per sé. Nel frattempo Glauco, guardando l’orologio, si alzò e affermò che doveva andare perché era già tardi.
Stava imbrunendo, l’uomo appariva sempre più preoccupato e impaziente per il ritardo della donna, quando la vide apparire esclamò: “Finalmente!”. Poi le chiese se era andato tutto bene. La donna rispose in modo affermativo. Entrambi ringraziarono e salutarono la famiglia Sbaraglia, salendo sulle loro biciclette, poi ripartirono, con una certa fretta, in direzione di Ladino.
(Da una testimonianza verbale di Bruno Sbaraglia)
Nella foto - Silvio Corbari
Silvio Corbari era nato a Faenza il 10 gennaio 1923 e fu impiccato a Castrocaro Terme il 18 agosto del 1944, insieme ad Adriano Casadei e Tonino Spazzoli.
Con l'occupazione tedesca a Faenza il 16 settembre 1943 un gruppo di circa una ventina di antifascisti si portò alla sorgente del fiume Samoggia dove fu successivamente raggiunto da militari sbandati e ex prigionieri fuggiti dai campi di concentramento raggiungendo ben presto l'elevato numero di 60 unità.
Nel corso del mese di ottobre sorsero in seno al gruppo discussioni sulla strategia da seguire e la disciplina a cui sottostare e alla fine del mese di ottobre il gruppo finì con lo scindersi.
Uno di questi si portò verso le zone dell'8ª brigata Garibaldi attuando nella marcia di trasferimento un'azione all'albergo Alta Romagna di Santa Sofia che permise ai partigiani di venire in possesso dei piani di approntamento della Linea Gotica, che furono poi fatti pervenire agli alleati.
Anche Corbari, con una decina di uomini, divenuti una trentina alla fine dell'anno, si rese autonomo dalla formazione iniziale. Purtroppo il gruppo di Corbari alla fine di gennaio del 1944 fu attaccato e distrutto dai tedeschi a Ca' Morelli di Tredozio. Venti furono i partigiani catturati (sette saranno poi fucilati a Verona) due i morti in combattimento, il padre e la madre di Iris Versari inviati in campo di concentramento. Solo Corbari, Iris Versari e pochi altri partigiani non presenti a Ca' Morelli si salvarono. La ricostruzione della formazione avvenne molto lentamente. A maggio contava 20 effettivi (il numero dei combattenti non superò mai le cinquanta unità), ma l'esiguità del gruppo non impedì a Corbari e a Iris Versari di attuare, nel corso della primavera, alcune azioni (tra le quali la più clamorosa fu l'uccisione del console della milizia Gustavo Marabini).
Subito dopo venne ricercato un più stretto legame con l'organizzazione di Forlì nella quale era impegnato Tonino Spazzoli, che nell’estate consentì alla formazione di usufruire di un lancio di armi e materiali da parte degli Alleati. Il lancio avvenne sul Monte Lavane e si risolse con un duro scontro tedesco, i quali ebbero preventiva informazione.
Corbari, anche nella nuova realtà organizzativa della formazione, mantenne un ruolo autonomo e svolse azioni da lui decise e attuate con pochi uomini. Il 18 agosto 1944, tradito da una spia – si dice Franco Rossi – venne catturato a Ca' Cornio di Modigliana assieme ad Iris Versari, Arturo Spazzoli e Adriano Casadei.
I tedeschi e i fascisti diedero ampio risalto alla cattura di Corbari, divenuto un simbolo della lotta partigiana, tanto che la voce popolare lo faceva presente ovunque, ne ingigantiva le azioni e gliene attribuiva altre da lui mai compiute.
Il risalto dato alla cattura e la messa in scena della ripetuta impiccagione esprimevano la volontà dei fascisti di uccidere, oltre al fisico, il mito rappresentato da Corbari e dai suoi compagni.
Dopo la morte di Corbari e degli altri tre partigiani la formazione si riorganizzò e combatté sino alla liberazione del territorio della zona del Tramazzo, dove operava.
(estratto dal testo di Vladimiro Flamigni)
Nella foto – Alcuni partigiani della Banda Corbari sulle colline romagnole – 4 novembre del 1944.
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