IL SANATORIO di FORLI’ di Franco Fabbri
Negli anni venti la città di Forlì, così come tante città italiane, cambia decisamente aspetto e carattere. Si può dire che passa dalla periferia al centro, da città prevalentemente contadina, si trasforma in città industriale, e ciò avviene per una decisa volontà politica. Così si trasforma anche l’architettura e la struttura edilizia della “città del duce”, che per forza deve proporsi sul piano simbolico. E’ così che nascono i nuovi quartieri, assieme allo sviluppo delle fabbriche e dei servizi. La città vive in questo periodo il fascino di “piccola Roma”, di “città modello” per tutta la nazione, luogo di sperimentazione di una nuova politica urbana nell’ambito dello “svecchiamento” della Romagna.
E’ in questo periodo che nasce quello che oggi, dopo le opportune trasformazioni, diventa il nostro “nuovo ospedale”.
Erano gli anni della battaglia nazionale contro la tubercolosi e nel 1931 Benito Mussolini decise di costruire a Forlì, e ne scelse personalmente l’ubicazione, il nuovo tubercolosario che sarebbe stato gestito dall’Istituto Fascista di Previdenza Sociale (I.N.P.F.S.). Il progetto fu affidato all’ingegnere romano Cesare Valle e nel giugno 1932 iniziarono i lavori a cura della ditta Calvitti.
Il complesso sanitario era costituito da una struttura a padiglioni, un grande ospedale, un ospedale per bambini ed una colonia postsanatoriale di tipo agricolo per il reinserimento nel mondo lavorativo dopo la degenza, comprensiva di altre attività artigianali (falegnami, calzolai, sarti, fabbri, meccanici ecc.).
I primi padiglioni furono inaugurati alla presenza di Rachele Mussolini nell’ottobre del 1937, a soli cinque anni dall’inizio dei lavori, l’ultimo da Mussolini a soli otto anni dalla progettazione.
Tutta la struttura si avvale di quella tipologia, ricorrente nell’architettura dell’epoca, ricca di simbolismi legati al volere del regime, ma anche in linea con il gusto delle “avanguardie artistiche” futuristiche nella celebrazione del mito del “macchinismo”. Nasce così questo complesso che al centro vede la struttura tozza e poderosa di un carrarmato, alla sua sinistra, l’agile figura di un aeroplano, ed alla sua destra la grande nave, tutto a simboleggiare le tre armi, di terra, di cielo e di mare. Fra queste strutture ancor’oggi si distingue lo svettante torrione della riserva idrica che allora, con l’altissimo stelo e l’ampio serbatoio circolare, dominava tutto il complesso, celebrando la nuova tecnologia del cemento armato, ponendosi a timone dell’intera squadriglia armata. All’ingresso, al di qua e di là del grande cancello, quasi a protezione di tutto il complesso, i due M.A.S. (Motoscafo Anti Sommergibile), famosi nella “ beffa di Buccari” cui partecipò Gabriele D’Annunzio che coniò con la stessa sigla il motto “Memento Audere Semper”.
Essendo le basi della terapia della tubercolosi, l’aria ed il sole, tutte le strutture presentavano ampie vetrate, in particolare l’ultimo padiglione è sormontato da un ampio solarium che sottolinea il suo aspetto simbolico di aeroplano. Osservando la costruzione dal vecchio ponte sul fiume Rabbi, specie d’inverno, quando la vegetazione non copre l’immagine, appare la figura di un biplano che pare quasi decollare.
Il padiglione dall’aspetto più suggestivo nella sua forma è senz’altro il “Vallisneri”. La grande nave, di notte, con tutte le luci accese, pare il “REX”, quello che noi ricordiamo dal ben noto film di Fellini. E’ una grande nave con la prua rivolta a monte, verso la Rocca delle Caminate, dove allora, un grande faro, durante la notte, lanciava lunghi raggi, bianco, rosso e verde, che si potevano vedere fino dalla costa adriatica. Al di là di quello che poteva essere il fascino architettonico, questo era il padiglione dei bambini. Il piano rialzato era abbracciato da grandi portici chiudibili da vetrate, con ampie aule scolastiche sotto il loggiato per la scuola all’aperto e lunghe terrazze ad anello per permettere ai bambini una blanda attività motoria, quando non era possibile farli scendere nel parco. I tre padiglioni erano collegati, come si può ancora vedere, da una galleria seminterrata di quasi un chilometro, che assicurava un rapido trasporto di cose e persone a mezzo di carrelli elettrici.
Tutto il complesso poteva ospitare 350 degenti in ampie camerate di 40 mq, orientate est-ovest, tutte con ampie terrazze che innondavano le stesse di aria e di luce, fondamentali per la cura. I collegamenti verticali erano assicurati da grandi rampe, scale e capaci ascensori. Non era stata trascurata nemmeno la scelta delle tinte che risultavano prevalentemente di un verde chiaro, invitante al riposo ed alla distensione.
I servizi, a completamento di una struttura così moderna ed efficiente, erano all’avanguardia, con sale operatorie e le più complete attrezzature specialistiche, oltre alle cucine, lavanderie, guardaroba e speciali locali per la disinfezione.
Una grande città di cura racchiusa in un parco, grande polmone d’ossigeno, che permetteva lunghe passeggiate, percorsi suggestivi e rilassanti passatempi all’aperto come il gioco delle bocce, utile per una modesta attività fisica unita ad un efficace effetto rilassante.
Il centro sanatoriale di Vecchiazzano poteva essere ritenuto il vanto della sanità locale del tempo, in linea con le direttive di una medicina sociale che non trascurava nulla. Era stato studiato tutto, l’orientamento, l’areazione, la luce, per ottenere i migliori risultati di elioterapia, di salubrità fisica e psichica dei malati.
A Forlì era iniziata l’era moderna per l’architettura e le sue valenze socio sanitarie.
P.S.:
Denominazioni originarie dei padiglioni
Padiglione infantile (Vallisneri) XXI Aprile (fondazione di Roma)
Padiglione adulti (Valsalva) XXIII Marzo (fondazione fasci di combattimento)
Colonia post-sanatoriale (Allende) XXVIII Ottobre (marcia su Roma) |