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Articolo inserito da Gilberto Giorgetti in data 03/08/2006
Storia
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Quando i ricordi si fanno storia - SECONDA PARTE
PREISTORIA e STORIA di VECCHIAZZANO
Vecchiazzano ha una storia antica come l'uomo, dovuta alla sua collocazione fra i fiumi Rabbi e Montone. Un tempo la zona doveva essere lussureggiante e boscosa, frequentata dal cane palustre, il cinghiale, il maiale, il cavallo, il capriolo, il cervo, il capro, la pecora, il bue Brachyceros e il bue Primigenus. In questo luogo trovarono adeguata sistemazione gli uomini del Neolitico, che vi sostarono fabbricando le loro capanne Terremaricole, in parte interrate e in parte costruite con pali e con canne, rivestite di creta fluviale e col tetto in cannucce. Queste popolazioni di cultura Umbro-Tosco-Ligure, dedite prevalentemente alla caccia e alla pastorizia, erano scese dagli Appennini e seguendo il corso dei fiumi, costruirono capanne, lavorarono la selce per fare le armi, manipolarono la creta per fare dei cocci e lavorarono la terra per i loro raccolti. A Vecchiazzano si concentrarono in località Bertarina dove, all'unione del Rabbi e del Montone, sul promontorio che sovrasta i fiumi trovarono la loro dimora più stabile.
La Bertarina è una terrazza quaternaria formatasi con le alluvioni dei due fiumi, che ha assunto una forma conica con la punta rivolta in direzione di Forlì. In questo sito Antonio Santarelli diede inizio a degli scavi archeologici nel 1883/84, che proseguirono in successive campagne fino al 1897. Durante i lavori, Antonio Santarelli rinvenne alcune monete imperiali: una dell'epoca di Gordiano III (238-241 d.C.) e un'altra di Filippo l'Arabo (244-249 d.C.) ed un piccolo bronzo di Costantino Magno (306-337 d.C.).
Secondo Francesco Luigi Ravaglia “La topografia della vecchia Forlì”, il sito della Bertarina era ancora abitato cinquecento anni dopo la fondazione di Forlì. Lo stesso Ravaglia sostiene che, a nord-ovest dell'attuale città, già esisteva un importante agglomerato preromano. Il materiale Umbro e Gallico del IV e V secolo a.C., rinvenuto in questo sito insieme a reperti di epoca romana, dimostrerebbe che, all'atto della fondazione di Forum Livii (188 a.C. o 206 a.C.), non furono completamente distrutti tutti i precedenti insediamenti.
Il Ravaglia suppone che l'abbandono di questi insediamenti situati in località Vecchiazzano, Villanova, Cappuccinini, Coriano, Carpena e Decio Raggi, sia avvenuto nel 306 d.C. circa. In seguito alle alluvioni sempre più frequenti dei fiumi e al timore di subire invasioni. Così queste popolazioni si sarebbero inurbate nel Castrum per una loro migliore difesa. Dopo questa data, infatti, la popolazione cittadina dovette aumentare notevolmente, tanto che fu necessario un ampliamento del centro abitato, in direzione nord-est.

Nel podere “La Fiorina”, in casa Bêrca, sulla strada per San Lorenzo in Noceto, attuale via Veclezio, alla fine degli anni cinquanta, durante alcuni scavi furono scoperte delle sepolture chiuse da lastroni in cotto, di tipologia preistorica. La notizia non ebbe carattere ufficiale e per questo motivo non furono elaborati adeguati studi in merito. In casa Caplêt, sempre sulla via Veclezio, non lontano dalla precedente abitazione, nel corso di alcuni lavori per la posa della condotta dell'Acquedotto romagnolo, eseguiti nell'estate 1986, è stato scoperto un sito d'età neolitica, a sud-ovest di Forlì, sulla sinistra del fiume Rabbi. Lo scavo ha permesso di documentare una gran quantità di materiale di notevole importanza, in quanto, per la prima volta, è stata accertata la frequentazione del territorio forlivese in epoca neolitica. In ambito romagnolo è l'unico sito che vede associati elementi della Cultura di Diana (Presente in Umbria e in Toscana nel III millennio a.C.) e della Cultura del tardo Ripoli (Presente in Romagna, in località Misano Adriatico).

A pochi Km a sud di Forlì, sulla destra del fiume Rabbi, lungo l'importante strata romipeta o romea, dalla quale ricava la denominazione, appare documentata fin dal IX secolo la pieve di S. Martino in Strada con l'omonima villa. La strada romea è ben descritta dall'abate Alberto di S. Maria di Stadt, il quale, nel 1236, di ritorno da un pellegrinaggio a Roma, dava suggerimenti al riguardo, indicando anche le distanze in miglia romane, e informava che, giunti a Bologna “ibi habes optionem duarum viarum trans montes, vel ad balneum Sanctae Mariae (Bagno di Romagna) vel ad Aquam pendentem. Sed puto quod melior sit via ad balneum Sanctae Mariae, sic: Bolonia, 13 Castellum Sancti Petri, 7 Emula, 10 Furlin, 2 San Martinen strate, 4 Meldola, 10 Civitella, 15 balneum Sanctae Mariae, Alpes 15 leucarum, Champ, 8 Subean, 6 Aretium...”. Sulla sinistra della strada romea e del fiume Rabbi sorgeva Vecchiazzano, il toponimo sembra sia derivato da un fondo rurale appartenuto ad un certo Veclezio.
La chiesa di S. Nicola di Vecchiazzano faceva parte del plebato di S. Martino in Strada, ma ben presto la pieve di S. Martino rientrò a far parte dei possedimenti della potente e dotatissima abbazia di S. Mercuriale. Il trasferimento definitivo, anche sul piano giurisdizionale, ebbe luogo il 9 agosto 1160, allorché, col consenso del Capitolo, il vescovo Alessandro donò al monastero di S. Mercuriale, oltre a vari fondi ed al plebato di S. Mercuriale, tutto il plebato di S. Martino in Strada, con la pieve “et omnibus eius capellis factis et faciendis et omnia loca sacra et religiosa que... edificabuntur vel construentur... scilicet capellas Sancti Johannis de Laureta, Sancti Nicholai de Veclaçano, Sancte Marie de Turre”. Quindi a Vecchiazzano, già esisteva una chiesa intitolata a S. Nicola di Mira o di Bari. S. Nicola nacque nella Licia nel IV secolo d.C. e fu vescovo di Mira. Il Santo era molto popolare nella chiesa Greca e Latina e il suo culto fu diffuso in occidente sotto Ottone II. S. Nicola fu eletto protettore dei bambini, dei prigionieri e dei marinai, sulla sua tomba trasuda, ancor oggi, un olio detto “manna di S. Nicola”, a cui si attribuiscono poteri prodigiosi. La prima chiesa di Vecchiazzano doveva apparire come una tipica chiesetta di campagna, forse molto simile a quella di Sant'Agostino di Rocca d’Elmici (Predappio), tuttora esistente.
Le concessioni fatte dal vescovo Alessandro, nel 1170, erano di un'ampiezza tale che i suoi successori cercarono in tutti i modi di limitarle. Lo stesso vescovo Alessandro, in data 29 giugno 1172, delimitò i confini fra il plebato di S. Mercuriale e quello di S. Martino, stabilendo altresì che non vi potesse venir eretto alcun luogo religioso senza il consenso dell'abate.
Il plebato di S. Martino in Strada era molto ampio e in città si estendeva fino in prossimità dell'attuale piazza Saffi, ma in seguito il confine venne spostato sempre più a sud man mano che la cerchia cittadina si allargava. In un documento conservato presso l'Archivio di Stato di Forlì, che reca la data del 21 dicembre 1297, si menziona una casa in Burgo Merlonum dove vien detta in territorio liviensi et plebe Sancti Martini in Strata.
Dopo la successione del vescovo Alessandro iniziò una vertenza giurisdizionale relativa al plebato di S. Martino, fra il vescovado di Forlì e la Congregazione di Vallombrosa. La curia vescovile raggiunse un accordo definitivo l’8 luglio del 1239, che fu solennemente approvato il 29 luglio dal vescovo Enrico e dal capitolo della Cattedrale.
La Descriptio Romandiolae nel 1371 censiva Villa Veclazani et Banzole con 16 focolari, a confine fra Villa Spineti con 44 focolari e Villa Sancti Martini con 68 focolari.
All'inizio di aprile del 1236, Vecchiazzano fu completamente devastata dalle truppe faentine che scorrazzavano nel territorio forlivese. Un altro guasto, lo subì nella primavera del 1282, allorché papa Martino IV inviò le truppe pontificie capitanate da Jean d'Eppes per cacciare i Ghibellini da Forlì, che erano comandati da Guido da Montefeltro. Jean d'Eppes tenne l'assedio della città per nove mesi e per indurre i forlivesi alla resa, cercò di ridurli alla fame. Dal proprio quartier generale, in San Lazzaro della Rovere sulla via Emilia verso Villanova, dove c'era la bastia detta Rovere, ordinò la distruzione di tutti i raccolti delle campagne circostanti. In questa occasione, anche Vecchiazzano fu messa a ferro e fuoco dalle truppe del generale francese.
Il primo maggio del 1282 avvenne una cruenta battaglia che terminò con la vittoria dei forlivesi, grazie ad uno stratagemma studiato da Guido da Montefeltro. Alla fine sul Campo dell'Abbate, attuale piazza Saffi, lungo le strade di Forlì e nei luoghi di battaglia, si contarono circa diciottomila morti. Anche Dante Alighieri nella “Divina Commedia” ricorda il fatto con questi versi:
La terra, che fè già la lunga prova,
E de' Franceschi il Sanguinoso Mucchio,
Sotto le branche verdi si ritrova. (Inf. c. 27)

Nel 1429, mentre il vescovo Domenico Capranica, governatore di Forlì, dirigeva la campagna militare contro Bologna, alcune brigate dell'esercito pontificio erano state alloggiate anche a Vecchiazzano, ma si ebbe una mischia con feriti tra i contadini Pascualino e Savoretto: “per caxone del male alogare”. Giovanni di mastro Pedrino, nelle “Cronache del suo tempo - Vol. I - pag. 223”, commenta il fatto affermando che i soldati pontifici recarono più danno al territorio dell'amica Forlì che a quello della nemica Bologna.

Nella foto - Moneta romana rinvenuta a Vecchiazzano



Nella foto - Coperchio in cotto "meandro-spiralica", rinvenuto nel podere "Fiorina".
Cultura dei vasi a Bocca Quadrata. Neolitico medio (seconda metà del IV millennio a.C.).
Forlì, Museo Archeologico.



LA FIBBIA OSTROGOTA
di Luciana Prati

Nel 1884, presso il vecchio ponte sul Rabbi venne alla luce un vasto sepolcreto a inumazione, costituito da diciassette tombe di cui quattro a cappuccina.
Alcune sepolture contenevano oggetti d'ornamento: orecchino, pendaglio, fibbia.
Da una sepoltura provengono resti di fili d'oro e una fibbia per cintura, fusa in argento dorato, lavorata a punzone e a sbalzo con inserimento di alamandine; l'oggetto, di finissima fattura, caratterizzava l'abbigliamento femminile di personaggi di rango al seguito di Teodorico.
La fibbia è costituita da una placca romboidale in cui è inserito un castone cruciforme, che portava all'origine cinque altri castoni, oggi privi di pietre, e da un ardiglione a testa di animale.
La cornice è decorata con figure di animali, secondo lo stile animalistico in voga agli inizi del VI secolo presso le popolazioni germaniche.

Nella foto - Fibbia in argento decorata a punzone e a sbalzo. Forlì, Museo Archeologico.


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