Sono nato a Vecchiazzano, in casa Zirundén, quando la seconda guerra mondiale stava per finire, perciò conservo ancora, avvolti dalla nebbia, i ricordi di quei giorni, come confusi e imprecisi flash.
Ho vissuto per diversi anni a Vecchiazzano, passandovi l’infanzia e la giovinezza e anche quando andai ad abitare in città non smisi mai di frequentare la casa dei nonni, gli amici e quei luoghi che ormai mi avevano “preso il cuore”: il silenzio della campagna, il pergolato di uva fragola, il profumo del fieno appena falciato, l’odore della terra arata e del mosto. E poi ancora il profumo degli arrosti nei giorni di festa. Un delicato ed intenso profumo che si perdeva lungo la strada nei mattini assolati di primavera, quando le margherite si aprono al sole e sorridono dal lato di un fosso.
Le corse, scalzo lungo la callaia polverosa dove a marzo i falò si illuminavano e si perdevano in un concerto di luci fin verso la collina; il canto incessante dei grilli; il pulsare lento delle lucciole che a maggio illuminavano il grano, prima del volo radente delle rondini incontro alle spighe dorate, oscillanti e gialle come in un quadro di Van Gogh. E poi il rio, il rio Cavone, meta dei miei giochi preferiti, avvolto dai pioppi e confuso dal canneto, era il nascondiglio dei miei segreti più intimi, un luogo ideale dove poter sognare, come solo i bambini sanno fare.
A quel tempo Vecchiazzano era un paese di passaggio, dove percorrendo la strada non si era attratti da nessuna curiosità. Infatti, non c’era una piazza che invitasse ad una fermata, un momento di ristoro, un bar, un’osteria, ma solo strade che si ramificavano fra la campagna disseminata di case rurali, divise da campi colorati e profumati di frutti.
Di sera, nei mesi d’inverno la campagna si avvolgeva nel buio più pesto, mentre le luci giallognole delle case invitavano al trebbo. Un incontro di amici o conoscenti che alludeva agli immancabili “marafoni” o “maletti”, prima di bere un caldo brulé allo sfrigolio del fuoco acceso nel camino dell’enorme cucina.
Ora Vecchiazzano è un’altra cosa, si potrebbe dire che è diventato un borgo residenziale di Forlì, dove non manca nulla e presto ci sarà anche una piazza. Quella piazza che mancando da sempre lo caratterizzava come paese, quel paese che mi è rimasto inciso nel cuore e che non potrò mai dimenticare.
Gilberto Giorgetti
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