L'eccidio di Vecchiazzano, 9 civili uccisi dai tedeschi e poi gettati in un pozzo, circa sessant'anni dopo
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Anche io mi ero emozionata quel giorno. È successo qualche anno fa. Prima mi aveva accompagnata a vedere la via intestata a suo padre, poi eravamo andati a vedere il cippo. Ci fermammo un poco a guardare il monumento, costruito sul ciglio di quella strada isolata di campagna. Nove schegge di ferro, grandi e piccole, conficcate insieme nella terra, in uno stesso buco, nove, come le vittime dell’eccidio. Sei erano i componenti della famiglia Benedetti, poi Fregnani, Ludovini, e Verità. Mentre leggevo i nomi incisi nella pietra lui aveva preso la direzione dei campi. Il suo passo lungo e pesante affondava silenzioso nella terra umida. Non diceva una parola, guardava in basso come in cerca di tracce. Io lo seguivo chiedendomi dove fosse quel pozzo che non vedevo e quanto potesse ancora essere vivo quel suo dolore dopo quasi sessant’anni. Non sembrava emozionato, ma le sue mani tremavano più del solito mentre indicava il pozzo e ricostruiva i fatti:
- Mio babbo non era un partigiano, era solo un povero vecchio, aveva settantasei anni quando lo hanno preso. Io ero nato quasi per sbaglio. C’era stata una rappresaglia, nove civili per il tedesco che era stato ucciso in un agguato. Non erano partigiani neppure tutti gli altri, e neppure il mio amico Romano. Erano solo contadini, presi a caso. Dopo tre giorni di ricerche ci hanno chiamato per il riconoscimento, li avevano trovati, tutti ammucchiati la sotto. Lo zio Mario è più grande di me, ma non erano riusciti a rintracciarlo, mia mamma soffriva di cuore e l’Aldina non se la sentiva, così andai io. Li hanno tirati su con le corde, sembravano dei mucchietti di stracci bagnati. Prima pensavo che li avessero annegati come i gattini appena nati, invece c’erano dei fori sulla giacca e sul corpo, ma non sanguinavano più. Avevano i polsi e le caviglie stretti, legati con il fil di ferro che entrava dentro la carne. Prima li avevano uccisi con una raffica e poi li avevano buttati giù, gli uni sugli altri. Per non fare affiorare i corpi avevano anche gettato delle pietre.
Li tiravano fuori e li stendevano sulla terra, tutti in fila, un cartellino dopo ogni riconoscimento. C’era il mio amico che aveva diciassette anni e c’era anche mio babbo. Se quel giorno non mi avesse ordinato di andare con la mamma a Fiumana, dai parenti, se fossi rimasto a casa con lui a badare le bestie, il riconoscimento l’avrebbe potuto fare solo mio fratello Mario o mia sorella. Io avevo sedici anni, sarei stato io il più giovane. –
Non aveva parlato in dialetto, forse la ricerca delle parole in italiano serviva a controllare l’emozione.
Sono la nipote di Fregnani Angelo. Già nell'86 mio padre, Fregnani lidio, aveva chiesto una rettifica del cognome che era stato scritto errato (Frignani Angelo) nel cartello della via a lui dedicata. In seguito alla sua segnalazione la correzione è stata apportata. Mio padre ci teneva tantissimo, non voleva e non poteva dimenticare. Purtroppo hanno sbagliato anche i dati anagrafici di mio nonno sulla lapide del Cippo (quello delle delle 9 schegge di ferro conficcate nella terra).
Per non dimenticare vi ho mandato questo piccolo stralcio di un romanzo che sto scrivendo. In queste brevi righe racconto il giorno nel quale, poco dopo l'inaugurazione del Cippo commemorativo per l'eccidio di Vecchiazzano, mio padre ci accompagnò sul posto. Prima a vedere il monumento, poi lungo i campi fino al piccolo pozzo che ancora esisteva.
Mio padre è morto il primo giorno di quest'anno, dopo una lunga malattia e purtroppo non riuscirà a vedere la correzione dei dati sul monumento, ammesso che venga apportata.
grazie
Maria Antonietta Fregnani |