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Articolo inserito da Manlio Monti in data 20/07/2009
Il paese
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Paolino e gli aeroplani (racconto)

Pedalando con energia causa la pendenza, già madido di sudore sotto quel sole irriverente, l’anziano imbucò la nuova pista ciclabile del ponte che attraversava il Rabbi da Vecchiazzano al Viale dell’Appennino e proprio in quel momento udì il sibilo nervoso del reattore che stava apprestandosi all’atterraggio.

Paolino, il nipotino seduto sul seggiolone posteriore della bici, alla vista del grosso velivolo, esclamò con la sua vocetta squillante:

“Nonno, nonno, guarda com’è grande, sembra lì!”

Era vero, a volte, quando l’aria era particolarmente limpida, gli aeroplani si stagliavano nettamente contro il cielo e veniva quasi voglia di allungare la mano per toccarli. Certo che quando era bambino lui e andava giù nel fiume alle Pioppe a prendere i cavedani nelle tane, se li sognava quegli aeroplanoni sulla testa. Ben che andasse si poteva vedere qualche aquilone di carta velina bordò intelaiato con stecche di canna. Oggi invece…

Gli venne così in mente dove portare il piccolo, ma certo, all’aeroporto sarebbero andati. Era uscito da casa di sua figlia senza un’idea precisa dove passare il tempo e adesso il nipotino con la sua osservazione gli aveva dato l’idea.

Non c’erano mai stati perché in bici era un po’ lunga ma la giornata, ancorchè calda, era troppo bella e pian piano ci sarebbe arrivato.

Pedalò con lena, ma senza affannarsi, nel traffico caotico finchè, finalmente, entrò in via delle Fontanelle dove sorgevano, cementosi, i seri edifici dell’ITAER, gli istituti tecnici aeronautici, roba da città vera.

Pensò: ’aspita, a studiare qua vengono giovani da tutta Italia, mica che l’hanno tutti una fortuna così. Roba di prima categoria, dice che imparano persino a guidare gli apparecchi!

Quasi captasse il suo pensiero, Paolino lo apostrofò:

“Nonno, cosa sono quelle brutte costruzioni?”

“Sono delle scuole molto importanti per ragazzi più grandi di te”.

“Davvero, e cosa studiano?”

“Beh, un sacco di cose scientifiche. Prima di tutto imparano ad usare degli strumenti per volare, e poi qualcuno più bravo diventa pilota d’aeroplani”.

“Volano proprio? Lo sai nonno che mi piacerebbe anche a me volare e sparare sugli apparecchi dei cattivi”.

“No, no, quelli sono un’altra cosa. Qui insegnano a guidare gli aerei da trasporto, quelli per i passeggeri e le cose. Si chiama aviazione civile, non è roba per fare la guerra”.

“Ma si divertono lo stesso?”

“Certo che si divertono, e quelli bravi, quelli che studiano molto guadagnano tanti bei soldini”.

E anche quelli raccomandati, pensò. Ma questo al nipotino non lo disse.

Intanto nel rispondere pedalando, il respiro dell’uomo s’era un poco ingolfato. Faceva troppo caldo e cominciava a sudare, fortuna che il terminale dell’aeroporto era vicino, anzi già c’era. Girò sul piazzale e si fermò in un angolo da dove, sbirciando, si potevano scorgere i velivoli, o parte di essi, soprattutto le codone impertinenti, chiassosamente dipinte coi colori delle compagnie.

La vecchia terrazza sulla pista era stata chiusa da tempo. Non aveva mai saputo perché, come non sapeva perché avesse portato suo nipote in quel posto.

Forse per dare uno sguardo al futuro, visto che il piccolo aveva tutta la vita davanti e che, secondo lui, ma non solo lui, buona parte del suo futuro sarebbe passato ineluttabilmente da lì, da quella modesta stazione aeroportuale, nata tra un milione di difficoltà grazie ai sacrifici e all’abnegazione di pochi appassionati. Chiamiamoli così, si disse.

Sì, probabilmente la ragione era quella, l’aveva portato lì inconsciamente consapevole che l’emancipazione della città, della sua cara città, la sua tanto bistrattata Forlì, sarebbe dipesa moltissimo dallo sviluppo di quella porta sul mondo.

Non aveva mai capito come, ma sapeva per certo che, di riffa o di raffa, erano entrati nel terzo millennio già da un po’ di tempo. Di fatto lo erano già nel futuro, volenti o nolenti.

Lui era ormai fuori dai giochi causa l’età, ma pareva che tanti altri, di quelli che contano, mica scartini, non se ne fossero ancora resi ben conto. Forse erano troppo occupati ad innaffiare il proprio orticello per accorgersi che le cose erano cambiate, i tempi erano diventati non solo più duri ma anche più vispi e mentre loro badavano a concimare un filarino di melanzane, gli altri seminavano sterminate distese di grano. E adesso arrivavano i frutti. In proporzione.

“Che belli nonno! Come sono grandi!” La vocetta del nipotino lo riportò alla realtà strappandolo dalle sue recriminazioni, sentite ma sterili.

“Sì Paolino, sono enormi. E poi questi non sono neanche i più grossi. E dire che avrebbero potuto essercene tanti, parcheggiati lì. Enormi, con ali larghe quanto un campo di pallone”.

“Davvero nonno? E perché non ci sono?”

“Perché devi sapere che questo mezzo di trasporto sarà quello del domani, per le persone e per le merci e quindi ci sono molti interessi in gioco”.

“Non capisco nonno, cosa sono gli interessi?”

“Uhm, sarebbero cose che gli uomini che hanno potere e quelli che hanno tanti soldi, vogliono controllare e manovrare per averne vantaggi e poterne fare tanti di più”.

“Ancora di più? Ma quanti, non gli bastano quelli che hanno già?”

“Vedi Paolino, la gente che ha tanti soldi o tanto potere, che poi è la stessa cosa, ne vuole sempre di più, non si accontentano mai, è una specie di malattia. Credo che si chiami capitalismo”.

“Perché sono così nonno? Io se Babbo Natale mi regala un trenino, mi accontento, ci gioco e mi diverto”.

“Tu sei un bravo bambino, educato e rispettoso, continua ad esserlo finché puoi”.

“Perché nonno, cambierò?”

“Spero di no, ma può darsi caro nipotino. Vedi, la vita è molto complicata, ci sono cose difficili da capire per un bambino, anzi, che anche noi grandi mica capiamo bene. Per esempio la politica”.

“Cos’è la politica, nonno?”

“ Di preciso non lo so, ma credo sia una cosa inventata migliaia d’anni fa da qualcuno, un governante credo, o governatore, insomma da uno molto furbo che doveva servire a fare il bene della gente. Il meglio possibile”.

“E invece nonno?”

“E invece sembra che i governanti d’oggi, forse ancora più scaltri, sicuramente più spietati, la usino per i propri interessi e dei problemi della povera gente non gliene freghi un cappero. La politica Paolino, è una di quelle che cose delle quali non ho mai capito un ciufolo, e continuo a non capirla”.

 “Che cosa non capisci nonno, dimmelo, magari l’hanno detto nella Tv e te lo spiego io”.

“Sì Paolino, vai con quella speranza, la televisione! Se dai retta a quello che dicono lì dentro, sei messo bene. Sarà meglio che ragioni con la tua di testa”.

“Perché, dicono le bugie?”

“Una specie piccolo, dicono la loro di verità, non quella vera, ma quella che gli fa comodo. La chiamano grande comunicazione, qualcuno che ci mangia su anche pubblicità o propaganda, che sono poi la stessa cosa”.

“Non capisco nonno, la verità non è una sola?”

“Sì, però una bugia ripetuta mille volte può diventare verità per i pataca che ci vogliono credere, credo che si chiami socialismo. Ma lasciamo stare, meglio che parliamo di questo fra qualche anno”.

Se sono ancora al mondo, pensò.

“Guarda nonno quanta gente! Sono tutti molto alti e hanno la pelle bianca bianca, chi sono?”

“Sono turisti, gente che viaggia per divertimento o per conoscere i posti. Vengono da lontano, dal nord, per quello che sembrano tutti cotti in bianco, credo siano russi o ucraini o qualcosa del genere”.

“Hi, hi, nonno, cotti in bianco! Cosa vuol dire, che sono alesso?”

“No, non sono bolliti, è un modo di dire romagnolo per dire viso pallido. Vedi, gli aeroporti servono a questo. Spalancano porte su tutto il mondo riducendo le distanze, sia dei chilometri che le differenze tra razze. Con gli aeroporti si diventa cittadini del mondo”.

“Che bello nonno, così posso avere un amico australiano! Mi piacciono tanto i canguri, ne vorrei uno”.

“Beh, sì, in teoria si può fare. Solo che adesso Forlì è collegata con pochi posti. Uno è la Russia per esempio. Ma dovevano essere di più, molti di più”.

“Ma perché non lo fanno, io voglio il cangurino!”

“Perché vedi Paolino, muovere tanta gente vuol dire sì problemi, ma anche grossi interessi e grossi guadagni. Un giro di soldi che poi si spalmerebbe un po’ su tutti noi, fai finta come una cucchiaiata di nutella su una grossa fetta di pane. Ecco Forlì sarebbe il pane, i turisti la nutella”.

“Mmmh! Che buona nonno, mi è venuta voglia. Mi compri un gelato con la nocciola?”

“Come no, vieni che andiamo dentro al bar, vedrai che troveremo qualcosa che ti piace”.

Mentre entravano dentro l’edificio e raggiungevano il banco, il bambinetto si guardò intorno scorrendo lo sguardo sulla piccola folla di viaggiatori e, tirando il braccio dell’anziano accompagnatore, disse:

“Ma allora nonno, tutta questa gente sta facendo i nostri interessi?”

Il vecchio rimase senza parole per un attimo, la capacità ricettiva e analitica del piccolo ometto lo sorprendeva ogni volta sempre più. Sogghignando rispose:

“Ma certo piccoletto, vedo che hai capito quello che ho detto. Il movimento di cose e persone porta denaro”.

“Allora diventeremo tutti ricchi?”

“Sì, magari. Non è proprio così semplice la faccenda, ma il senso di marcia è quello. Creare un grande indotto, questo è. Solo che ci vorrebbero tanti viaggiatori in più, cioè tanti voli in più, tanti grossi apparecchi in più”.

“Ma nonno, perché non vengono?”

Come non aspettarsi una domanda così ovvia! Il nonno sospirò e poi rivolto al piccolo disse:

“Ricordi quando prima ti ho parlato di potere, di politica, di interessi? Bene il motivo del mancato funzionamento di questa struttura sta proprio nella mancata combinazione di queste cose. Se il potere politico ficca il naso in quello degli interessi economici, o viceversa, se chi comanda non mangia abbastanza, se non si spartiscono bene la torta, la cosa non funziona e tutto va a putt… a carte quarantotto”.

“Come mi dispiace! Ma nonno, perché non si mettono d’accordo e fanno diventare questo aeroporto il più bello e il più grande del mondo?”

“Bum! Adesso hai esagerato, del mondo sarà impossibile, ma senza dubbio il Ridolfi di Forlì poteva diventare un signor aeroporto. Solo per la posizione che ha. Pensa che Forlì dista solo cento chilometri da Firenze che è una delle più belle città d’Italia, ma specie per il turismo della costa romagnola sarebbe stato eccezionale, potendo facilmente collegare tutte le spiagge della riviera. Certo che avrebbero dovuto rammodernare alcune strade, ma sarebbe anche ora!”

“Ma allora tutta la gente che deve venire qua, come fa?”

“Fa che porca miseria ci siamo fatti rubare i clienti come dei poveri pataca. Pensa Paolino che Forlì era l’unico aeroporto civile dell’Emilia-Romagna ma non avendo mai avuto politici con gli attributi giusti, e quando sarai grande capirai cosa significa, quando arrivò il momento di gestire questa cosa che anche uno scemo avrebbe capito, i nostri governatori o governanti che siano, si sono fatti soffiare sotto il naso l’affare, prima dall’aeroporto di Rimini, che essendo militare sarebbe anche proibito volarci con gli aerei civili, e poi da Bologna che grande, grossa e grassa com’è, ha sempre fame e quatta quatta s’è costruita un aeroporto fra le nebbie, nella bassa di un fiume dove i piloti volano malvolentieri”.

“Davvero nonno i bolognesi mangiano così tanto?”

“Certo, ma non solo loro. Sono in buona compagnia e mica si accontentano di lasagne! Si sbafano anche l’arrosto e lo spolpano fino all’osso. Per gli altri non rimangono che briciole”.

“Allora nonno noi come facciamo?”

“Caro Paolino, la vedo gnara. Io la soluzione non ce l’ho di sicuro, ma mica spetta a me. Ci sono persone elette dal popolo forlivese preposte a questo compito. Tocca a loro muoversi, in fretta e bene, ma con occhio lungo proiettato verso il futuro. Quello prossimo, ma soprattutto quello lontano, quello per te, nipotino mio. Se non ci pensano adesso questo futuro rischia di non arrivare mai e Forlì rimarrà per sempre un grosso paesone sempre più distanziato dalle città vicine, più ricche, più dinamiche e meglio gestite”.

Intanto la bruna barista aveva finalmente consegnato il magnum al piccolo e mentre il bambino lo scartava e iniziava a leccarlo, dall’esterno, lato pista, si udì un miagolare di reattori alzarsi sempre più.

Il vecchio e il bambino uscirono fuori raggiungendo il cantuccio da dove, di sguincio, riuscirono a vedere il bestione mentre si alzava da terra ringhiando,  insospettabilmente leggero, puntando deciso il muso verso l’azzurro.

Mentre con occhi vividi il fanciullo seguiva tutta la sequenza, registrandola, pensava al giorno che avrebbe atteso con impazienza l’arrivo del suo amichetto australiano con il cangurino saltellante al guinzaglio per portarlo al parco grande e correre assieme.

Il nonno invece, con un gran magone in gola, mentre seguiva anch’egli il levarsi in volo del grande uccello meccanico, pensava che forse non gli sarebbero bastati gli anni che aveva davanti per vedere diventare veramente “importante” la sua Vecchiazzano e poter, orgogliosamente, chiamare Forlì “città”.

 

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