Suicidio di Aldo Pasini, detto “Mazaprit” Aldo Pasini era un bracciante, nato a Rocca S. Casciano il 19 aprile 1909. Da Brisighella, in provincia di Ravenna, si trasferì con la famiglia a Vecchiazzano, dove andò ad abitare in via Tomba, all’attuale numero civico 15. Il soprannome Mazaprit gli derivò da un’azione vendicativa e sconsiderata di suo padre nei confronti di un sacerdote, qui di seguito narrata. A quel tempo, la famiglia Pasini conduceva a mezzadria un podere a Rocca S. Casciano e programmò di trasferirsi in un podere nei pressi di Dovadola, che era sprovvisto di mezzadro. Il proprietario, com’era consuetudine a quei tempi, andò a chiedere informazioni al parroco, il quale diede notizie negative in proposito. Il padre, di Aldo, venuto a conoscenza del motivo della mancata assegnazione del podere, una domenica mattina si armò di fucile, nascose l’arma sotto la cappa o capparella e andò in chiesa per assistere alla messa. Alla fine della funzione, quando il sacerdote si girò per la benedizione ai fedeli, il Pasini gli sparò, ferendolo ad un braccio. Aldo Pasini era un giovane, appassionato di caccia, sensibile ed introverso, che stava sicuramente attraversando un momento di forte crisi esistenziale. Il 22 marzo 1931, come tante altre mattine, prese il fucile, le cartucce e s’incamminò attraverso i campi in direzione delle colline. Quando fu ai confini dei poderi Zanêta e Sintël, in prossimità di un ponticello che attraversa un fosso, chissà per quale tormento interiore o disperazione, girò l’arma contro se stesso e sparò.
Il giorno 23 agosto 1931, alle ore 10,00, prendeva possesso della parrocchia di Vecchiazzano don Biagio Fabbri. Era nato a S. Martino in Villafranca il 27 aprile 1902 ed aveva compiuto gli studi nei Seminari di Forlì e Bologna. Don Biagio era stato ordinato sacerdote il 21 marzo 1926 e nello stesso anno era stato nominato parroco a Malmissole. Nelle parrocchie di Malmissole e di Vecchiazzano scrisse alcuni diari, che nel maggio del 1997 sono stati pubblicati, a cura di Salvatore Gioiello, in un interessante volume dal titolo “Don Biagio Fabbri - un uomo, un prete, un testimone”. Per motivi di salute, don Biagio rinunciò alla parrocchia di Vecchiazzano nel 1978 e si ritirò in Santa Maria Ausiliatrice alla Cava, presso don Domenico Ghetti che era già stato suo parrocchiano. Qui continuò il ministero sacerdotale fino al 2 maggio 1987, giorno della sua morte. Di carattere umile, ma ricco di spirito apostolico, don Biagio agì sempre in piena libertà e nel rispetto degli altri, per questi motivi, anche in una frazione prevalentemente dichiarata atea come Vecchiazzano, è stato benvoluto da tutti.
Nel 1930, per la costruzione a Forlì di un nuovo sanatorio, fu individuata a Vecchiazzano la zona alla confluenza dei fiumi Rabbi e Montone. Nel novembre del 1932, i mezzadri di questa zona dovettero abbandonare i poderi perché passati di proprietà della Cassa Nazionale delle Assicurazioni, che li condusse direttamente per mezzo di boari. Nell’estate del 1931, iniziarono gli scavi per le fondamenta del primo padiglione del sanatorio.
Nel 1930, il comune di Forlì delibera che in tutte le parrocchie sia messo il telefono e così, nel 1931, anche Vecchiazzano gode dell’importante servizio pubblico installato al centro del paese, vicino alla chiesa, nello spaccio di Olindo Casadei. A Forlì il telefono arrivò nel 1907 per mezzo della STF (Società Telefoni di Romagna), istituita da Fornari & Diotallevi di Rimini. Il primo direttore fu Giovanni Gori (1857-1930) e la sede era ubicata in piazza Saffi nel palazzo Zoli, ora conosciuto come sede del “Credito Romagnolo”.
Il 22 aprile 1933 a Vecchiazzano fu erogata la luce elettrica oltre le vecchie scuole elementari. Fino ad allora le case erano illuminate a candela o lume a petrolio. A Forlì l’illuminazione elettrica si diffuse nel 1908, con solo 30 utenti. L’energia era generata dal mulino di Ravaldino, detto Faliceto. La prima illuminazione pubblica della città risaliva al 1845 ed era generata da 90 lanterne alimentate da olio d’oliva, che in seguito giunsero al numero di 120. Nel 1933 a Vecchiazzano, accanto allo spaccio, venne aperta anche una “beccheria”. Nel 1934 il fornaio di Vecchiazzano iniziò a cuocere, giornalmente, il pane e a metterlo in vendita. In campagna e specie nelle case coloniche il pane veniva cotto una o due volte la settimana, nei forni adiacenti alle case stesse. Gli altri servizi pubblici giunsero a Vecchiazzano con molto ritardo rispetto alla vicina Forlì. Negli anni 1964/65 l’acqua e il gas vengono allacciati al “Villaggio nuovo”, costruito nel podere Cióca e, in parte in quello Sbaràia; nel 1974 il servizio viene ampliato in via Veclezio fino a casa Pêl, in via Castel Latino fino a casa Tapêd e in via Tomba fino alla fornace. Nel 1978/79 l’allacciamento supera casa Pêl e case Caplêt, verso Ladino. A Forlì il gas pubblico venne erogato, per la prima volta, nel 1862 dalla fabbrica “Forlanini”. L’erogazione dell’acqua risale, invece, al 1905 con la costruzione dell’acquedotto comunale di Ravaldino. Prima l’acqua si attingeva dai pozzi, che erano ubicati in ogni abitazione. Il servizio della nettezza urbana è stato portato a Vecchiazzano negli anni 1974/79 con due grandi cassonetti per l’immondizia. Prima esistevano due buche per il letame, che gli spazzini periodicamente svuotavano col badile. Solo agli inizi del 1980 il servizio è stato regolamentato come in città. A Forlì la “Ricezione immondizia” ebbe inizio nel 1935. Prima ogni abitazione aveva la propria buca dei rifiuti, che veniva svuotata periodicamente. (Da una testimonianza verbale di Viscardo Milandri)
Nell’estate del 1935, Mussolini visita i lavori per la costruzione dei padiglioni del sanatorio di Vecchiazzano. Il 24 ottobre 1936, lo spaccio dei generi alimentari e il sale e tabacchi vengono trasferiti nella nuova casa che Olindo Casadei ha fatto costruire di fronte alla precedente. La vecchia casa, sempre di sua proprietà, era ad angolo col piazzale della chiesa. L’8 novembre 1937 viene inaugurato da Rachele Guidi Mussolini il primo padiglione del centro sanatoriale. Il 26 ottobre 1938, la regina imperatrice Elena di Montenegro visita a Forlì la mostra di “Melozzo e il quattrocento romagnolo”. Nell’occasione si reca anche presso il nuovo sanatorio di Vecchiazzano. Il 28 dicembre 1938, Mussolini inaugura il villaggio di Caiossi, dedicato ad “Alessandro Mussolini”, padre di Benito. Dopo la cerimonia, Mussolini visita anche il sanatorio e intrattenendosi con Adelmo Zanetti, segretario del partito fascista di Vecchiazzano, dà disposizioni a Sebastiani, segretario personale del Duce, di dare centomila lire per la ristrutturazione della “casa del fascio” e mille lire per le persone più indigenti della comunità. Il primo segretario fascista di Vecchiazzano fu Ercole Santucci, che mantenne la carica fino al 1936, poi subentrò Adelmo Zanetti e per ultimo, come commissario straordinario, ricevette l’incarico Mario Russomano. Nelle foto - Benito Mussolini visita i lavori del Sanatorio di Vecchiazzano (1935). Il primo padiglione per adulti del centro sanatoriale fu inaugurato l'8 novembre del 1937. Il complesso ospedaliero era stato iniziato nel 1932, così come il palazzo delle Poste e Telecomunicazioni e i due edifici detti "i gemelli", siti all'inizio dell'attuale corso della Repubblica, dove c'era l'antica Porta Cotogni.
8 novembre 1937 - Rachele Guidi Mussolini inaugura il primo padiglione del Sanatorio di Vecchiazzano.
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