Articolo inserito da Gilberto Giorgetti in data 06/08/2006
Storia
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Vecchiazzano fra Ottocento e Novecento - OTTAVA PARTE
Il giorno 14 agosto 1944 scoppiò una bomba nascosta in una bica a Ladino e rimasero feriti due contadini del luogo e Giuseppe Erani, detto Caplêt. Nel cimitero di Castrocaro Terme, nello stesso giorno venne fucilato il marchese Raniero Paulucci di Calboli insieme ad alcuni partigiani.
Il venerdì 25 agosto 1944, alle ore 9,45 circa, ebbe inizio il secondo e più disastroso bombardamento alleato sopra Forlì.
Colpita maggiormente fu la piazza Saffi, dove ci furono oltre centocinquanta morti. Subirono notevoli danni, anche, la chiesa di S. Mercuriale e le Poste.
Era un giorno di mercato e la piazza brulicava di gente, in particolare da contadini e da mercanti che erano andati per gli affari. Don Biagio Fabbri, parroco di Vecchiazzano, si trovava all’imbocco di corso della Repubblica quando iniziò il bombardamento e si rifugiò nella chiesa del Suffragio. Quel giorno era in piazza anche mio nonno, Ercole Valbonesi, e appena sentì suonare l’allarme si riparò, con altre persone, sotto la loggia del palazzo comunale. Subito dopo iniziò un fitto bombardamento, mentre la gente urlava, fuggiva e cadeva a terra colpita dalle schegge; i vetri delle finestre s’infrangevano e le case intorno, colpite dalle bombe, riversavano calcinacci, polvere, fumo e lamiere ovunque. Ercole rimase aggrappato al muro della loggia per tutto il tempo del bombardamento, che sembrava interminabile. Quando il bombardamento cessò si girò intorno spaurito e confuso, allora udì più forte il lamento dei feriti in quella scena con tanti corpi straziati. Prima di ritornare a casa, Ercole girò lo sguardo a terra e si accorse che l’orlo dei pantaloni e le tasche della giacca erano pieni di frantumi di vetro. Un certo Dino Maltoni di Vecchiazzano fu sorpreso, invece, dal bombardamento mentre tentava di fuggire in bicicletta dalla piazza, dove rimase ucciso.
Nel pomeriggio un nuovo bombardamento colpiva la zona fuori porta Cotogni. Ormai la città era diventata un deserto e nelle campagne gli sfollati erano ovunque.
Nella notte del 30 agosto una bomba dirompente cadde sopra un padiglione del sanatorio, che era occupato dai tedeschi. Ci furono cinque morti e numerosi feriti.
Nella notte del 5 settembre il ponte di Vecchiazzano venne bersagliato dai bombardamenti e il giorno 9 i tedeschi iniziarono le trivellazioni per minarlo.
Dal 27 settembre al 9 ottobre cadde una pioggia continua e insistente che allagò diversi rifugi; molta biancheria, che era stata sepolta nel tentativo di salvarla da furti e da razzie, venne per questo motivo rovinata dall’acqua.
Il 21 ottobre 1944 Cesena venne liberata, mentre il fronte alleato lentamente avanzava.
Il giorno 25 ottobre i tedeschi fecero saltare il torrione dell’acquedotto comunale di Forlì, che era stato costruito nel 1905.
In previsione dell’imminente “liberazione” di Forlì, i tedeschi si prepararono per far brillare le mine negli edifici pubblici, nelle torri e nei ponti che ritenevano d’importanza strategica. A Forlì, oltre l’acquedotto, fecero saltare l’officina del gas ed altri fabbricati. I tedeschi predisposero le mine anche sotto gli insignificanti ponticelli che attraversavano le strade di Vecchiazzano. Questo fu anche il momento in cui si scavarono molti rifugi, perché gli alleati erano giunti alla periferia della città e il fronte era fermo nei pressi del Ronco dove rimase fermo per la gran piena del fiume e, intanto, la zona di Forlì venne bersagliata dai bombardamenti e dalle cannonate inglesi.
Intanto i tedeschi si erano ritirati verso Faenza e a Forlì erano rimasti pochi reparti di guastatori e un minimo di carri armati, per proteggere il loro ripiegamento.
La notte del 31 ottobre giunsero a Vecchiazzano due carri armati. Uno si appostò al bivio di via Castel Latino con via Veclezio, accanto alla casa di Olindo Casadei e aveva il cannone girato verso il fronte, in direzione di S. Lorenzo, mentre l’altro si appostò al bivio di via Castel Latino con via Tomba, davanti alle scuole. Gli inglesi a loro volta sparavano e bombardavano lungo la linea del fronte e così la popolazione veniva messa, continuamente, a repentaglio.
Il 1° novembre venne colpita mortalmente, da alcune schegge, Rosa Cavina di Vecchiazzano. La donna stava uscendo dal rifugio per recarsi nella propria abitazione, ubicata davanti al sanatorio.
Nei giorni che seguirono l’entrata in Forlì delle truppe alleate furono bombardate entrambe le chiese di Vecchiazzano, la vecchia e quella ancora in costruzione. Inoltre, furono danneggiate diverse case del contado e ci furono numerosi feriti. Verso le ore 15,00 dello stesso giorno, il sergente, che comandava il carro armato vicino alla chiesa, dava l’ordine di sfollare da Vecchiazzano. Lo stesso ordine veniva dato dai tedeschi fermi alle scuole.
Don Biagio Fabbri si recò dal sergente, con la speranza di poter rimandare la partenza, facendo presente che la gente era disperata e non sapeva dove rifugiarsi.
L’ufficiale rispose che non poteva disporre nulla, perché eseguiva ordini superiori. Il parroco, allora, chiese di rimanere a custodia delle case vicine, perché si temevano i furti. Ancora una volta, l’ufficiale rispose in modo negativo e aggiunse che non si fidava dei preti, perché molti di loro collaboravano coi partigiani. Così, agli abitanti di Vecchiazzano non rimase altro che partire e abbandonare le case. L’unica eccezione venne fatta per alcuni contadini del luogo, ai quali venne concesso che, almeno, una persona rimanesse ad accudire il bestiame.
Intanto, i cinque tedeschi, che facevano parte del carro armato vicino alla chiesa, rimasero padroni delle due case della famiglia Casadei e, frugando in ogni angolo delle abitazioni, trovarono alcune armi nascoste in un muro. Olindo Casadei, il più anziano della famiglia, fu subito rintracciato e, nel pomeriggio del 5 novembre, i tedeschi gli ordinarono di scavarsi la fossa. Intervenne Dino Sbaraglia, di casa Sbaràia, il quale riferì ai militari che la famiglia Casadei poteva pagare un riscatto. Grazie a questo intervento, Olindo Casadei ebbe salva la vita sborsando centomila lire. Il pagamento del riscatto fu possibile, anche, grazie a don Biagio Fabbri, il quale s’interessò per trovare il denaro mancante, dal momento che la famiglia Casadei non possedeva l’intera somma.
Nella foto - Il bombardamento sopra Forlì (25 agosto 1944)
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