EPIDEMIA A FORLI
Immaginate di spostarvi, con una ideale macchina del tempo, nell’agosto del 1804: dal bastimento “Anna Maria Toletana”, arrivato dalla spagnola Cadice nel porto di Livorno, sbarca l’equipaggio. È affetto per intero da febbre gialla. Nonostante l’allarme del medico fiorentino di chiara fama Gaetano Polloni, l’epidemia dilaga nell’Italia centrale. A Forlì viene istituita un ristretto Commissione speciale di Sanità composta, per citare personaggi storicamente conosciuti, dai conti Giuseppe Mangelli e Antonio Colombani. Per primo fu deciso, racconta un documento conservato nell’Archivio di Stato e reso noto dallo storico forlivese Gabriele Zelli, che le mura della città fossero controllate di continuo da un “cordone di probi cittadini e chiunque tentasse d’eludere questo cordone con intromissione di persona, di bestia e di robbe, nell’istante è riconosciuto reo di attentato alla pubblica salute”. In ogni Porta della Città furono designati “due Deputati di Sanità incaricati dell’osservanza di tutte le discipline e regolamenti di Sanità e di Polizia” I responsabili di questo servizio dovevano intimare a chiunque si presentasse per accedere in centro di “fermarsi alla distanza di cinque piedi; e col mezzo di una canna di detta lunghezza” ricevevano “la carta di sicurezza e la Fede di Sanità”. Infine chiunque usciva a piedi o a cavallo doveva denunciare al Deputato della Porta il luogo dove si portava e al ritorno doveva farsi riconoscere. Solo le quattro porte principali restavano aperte ma dopo le 20.00 non era consentito l’ingresso ad alcuno fuorché ai corrieri, staffette, espressi di Governo, e delle autorità sanatorie o militari”. Insomma, detto con parole odierne: Comitato tecnico-scientifico, distanziamento sociale, autocertificazione per gli spostamenti, passaporto sanitario, coprifuoco…
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