POLITICA - 26/03/2007, ore 12.20.00
Voce per voce i costi della politica italiana
Spese esecutivi, potere giudiziario, istituzioni
Napoli - Di seguito pubblichiamo un lavoro di Federico Novelli sui costi della politica: La Politica e il suo prezzo. La ricerca è stata pubblicata nel mese di gennaio del 2007 e descrive in dettaglio alcuni dei costi che bisogna sostenere per mantenere la politica italiana, tra cui: i costi delle istituzioni; i costi degli esecutivi; i costi del potere giudiziario; il prezzo delle istituzioni e della politica in Sicilia; sanità e lottizzazione partitica.
Introduzione
La politica è lo strumento fondamentale attraverso il quale i cittadini partecipano alla vita pubblica e amministrano i loro interessi. Politica, infatti, è un termine di derivazione greca: la polis è la città-stato dell’ antica Grecia; essa costituisce l’ espressione di una comunità umana che vive in una dimensione politica, appunto (secondo Aristotele l’ uomo è un animale politico, ossia portato a convivere con i suoi simili). Per i greci la polis rappresenta la più alta forma di convivenza e di organizzazione umana. Oggi la comunità umana è organizzata diversamente dalla polis greca: non esiste più la città-stato; ci sono gli stati e le organizzazioni internazionali. Tuttavia la dimensione politica e organizzativa di quella fondamentale esperienza costituisce un caposaldo fondamentale anche nel mondo attuale. La politica dovrebbe esprimere e realizzare ancora oggi un ideale alto di convivenza umana; chi fa politica come rappresentante (in senso lato) della comunità di individui-cittadini stanziata su un determinato territorio deve farsi carico delle esigenze, dei problemi e degli interessi della comunità stessa, al fine di attuare una vera dimensione comunitaria; per fare ciò è necessario che il politico si ponga al servizio dei membri della società. La politica oggi si pone spesso in modo assai diverso dalla necessaria dimensione di servizio ora menzionata: essa diventa molto frequentemente strumento di potere fine a sé stesso, che comporta costi spesso abnormi per l’ intera collettività: il prezzo ingiustificato della macchina politica deriva proprio dal fatto che si è persa, almeno in gran parte, la concezione della politica come servizio al cittadino. Molteplici sono le cause che fanno lievitare a dismisura i costi della politica. Iniziamo l’ analisi dalle istituzioni rappresentative, che costituiscono il cuore del nostro ordinamento democratico.
I costi delle istituzioni rappresentative.
Le due assemblee parlamentari costituiscono, probabilmente, uno degli elementi che maggiormente evidenziano l’ elevatissimo e spesso del tutto ingiustificato prezzo della politica in Italia. Le voci di costo più consistenti sono quelle costituite dagli “stipendi” dei membri delle due Camere; in realtà non si potrebbe parlare propriamente di stipendi, ma di indennità: infatti l’ art. 69 della Costituzione sancisce che “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge”. Attualmente tale indennità è disciplinata dalla legge n. 1261 del 31 ottobre 1965, la quale stabilisce che essa è suddivisa in due voci: 1) Il compenso mensile fisso, che gli Uffici di presidenza delle Camere devono decidere in modo che esso non superi il dodicesimo del trattamento complessivo annuo lordo del magistrato con funzione di presidente di sezione della Corte di Cassazione ed equiparate. 2) La diaria, il cui ammontare è parimenti deciso dagli Uffici di presidenza delle due Camere. Essa è assegnata in ragione dei giorni di seduta; esiste la possibilità di ritenute in caso di assenze. Nel nostro ordinamento attuale, dunque, il mandato parlamentare non è più gratuito.
Diversamente avveniva quando era in vigore lo Statuto Albertino. Infatti l’ art. 50 di quella Costituzione sanciva che “Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione od indennità”. Oggi i membri delle istituzioni rappresentative percepiscono, invece, l’ indennità di cui all’ art. 69 della Costituzione, e ciò appare giustificato e comprensibile. Meno comprensibile è l’ ammontare eccessivo dell’ indennità stessa: si consideri che i membri del Parlamento incassano, al mese, 14.000 euro! Di questi, 5.500 costituiscono lo “stipendio”, ossia l’ indennità in senso stretto, 4.000 euro vengono assicurati come rimborso della spesa derivante dal soggiorno a Roma, 4.200 euro sono somministrati ai Deputati per finanziare le spese inerenti il rapporto con i loro elettori. Per quanto concerne i Senatori, quest’ ultima voce di spesa è finanziata con circa 500 euro in più al mese: si sale, così, a circa 4.700 euro. Ancora meno giustificati, quando addirittura del tutto ingiustificati, appaiono, soprattutto all’ opinione pubblica ed alla luce dell’ etica pubblica, i numerosi privilegi concessi ai rappresentanti della Nazione. Iniziamo dalle agevolazioni di cui essi godono in tema di trasporti. I parlamentari hanno una carta che assicura loro la libera circolazione sulla rete ferroviaria nazionale e sulle linee aeree; possono prendere i traghetti senza rispettare la fila e, soprattutto, senza pagare il biglietto! Possono, inoltre, contare su un rimborso di 3.300 euro per i viaggi in taxi, che sale a 4.000 euro se il Deputato abita a più di 100 km dall’ aeroporto più vicino. I membri delle assemblee rappresentative possono, inoltre, utilizzare il telepass in autostrada gratis. Nel caso in cui il parlamentare abbia l’ esigenza, per motivi di studio o per ragioni comunque connesse all’ esercizio della sua attività, di varcare i confini nazionali, può contare su un rimborso che arriva ad un massimo di 3.100 euro.
Nel 2005 i soli Deputati sono costati alla collettività 40.000.000 di euro! I privilegi non finiscono qui, perché ai parlamentari è assicurato un rimborso sulla bolletta telefonica fino ad un massimo di 3.100 euro. Viene loro assegnato, infine, un computer portatile che possono tranquillamente tenere anche dopo la fine della legislatura, sia ben chiaro, per esigenze di tutela della riservatezza dei dati. Per quanto concerne il trattamento pensionistico, esso evidenzia, forse ancora di più il fatto che i rappresentanti della Nazione godono di notevoli privilegi. Infatti i parlamentari (sia Deputati che Senatori) hanno la possibilità di maturare una pensione straordinaria anche se sono in carica per una sola legislatura. Tale pensione straordinaria è denominata vitalizio. Essa matura al compimento dei 65 anni di età. Se il Deputato è rimasto in carica per più legislature, il vitalizio può maturare anche al compimento dei 60 anni. L’ ammontare del vitalizio può variare da un minimo del 25% ad un massimo dell’ 80%; la prima ipotesi si verifica nel caso in cui il parlamentare abbia ricoperto la carica per una sola legislatura. La seconda, invece, si realizza nel caso in cui il parlamentare sia stato in carica per più legislature. E’ poi da sottolineare il fatto che per maturare il vitalizio non è necessario che scadano i 5 anni di legislatura. E’ invece sufficiente che il parlamentare resti in carica per 2 anni, 6 mesi ed 1 giorno. Bisogna, poi, considerare il fatto che i parlamentari possono tranquillamente sommare la pensione che percepiscono per la loro attività professionale con quella acquisita attraverso la loro attività di rappresentanti della Nazione. Veniamo, infine, alle considerazioni che riguardano il termine dell’ attività di parlamentare: la liquidazione ottenuta dai parlamentari ammonta all’ 80% dell’ indennità che va moltiplicato per il totale degli anni della legislatura. Ciò significa che Deputati e Senatori conseguono, come minimo, una liquidazione pari a 35.000 euro. Il prezzo dell’ attività delle istituzioni rappresentative non è determinato soltanto dagli abnormi costi delle indennità e dei vari privilegi dei parlamentari, ma anche (e in misura molto rilevante), dagli altrettanto abnormi oneri derivanti dall’ attività dei partiti e dei gruppi parlamentari. Tra questi 2 organismi esiste una stretta connessione, dal momento che i gruppi, pur essendo formalmente e giuridicamente distinti dai partiti, costituiscono lo strumento attraverso il quale questi agiscono all’ interno delle assemblee rappresentative.
Secondo Michele Ainis l’ onere finanziario derivante dall’ attività dei partiti costituisce il costo maggiore della politica. Il problema principale del sistema politico italiano è costituito dall’ eccessivo numero dei partiti e dalla loro incontrollata proliferazione. I costi derivanti dai partiti possono essere suddivisi in due categorie: 1) la prima è costituita dagli oneri a cui si deve far fronte per finanziare l’ attività dei partiti, sostenuta dal 1993 con i rimborsi elettorali; 2) la seconda deriva dall’ eccessivo numero dei partiti che fa lievitare non solo i costi legati alle loro attività e alla loro burocrazia, ma anche quelli derivanti dalla necessità di “accontentare” tutte le parti politiche: ciò significa, ad esempio, che una compagine governativa composta di ben 9 componenti partitiche, quale è quella attuale, dovrà necessariamente stabilire nuove spese per foraggiare il “bisogno” di tutte quante. L’ unico modo per raggiungere questo “obiettivo” è imporre nuove tasse e continuare a sostenere gli enti inutili, utilissimi ai partiti per distribuire favori. Per quanto concerne i costi di cui alla prima categoria, il referendum del 18 aprile 1993 sancì che il 90,3% dei cittadini-elettori era contrario al finanziamento pubblico dei partiti; tuttavia questi escogitarono subito un modo per aggirare il risultato della consultazione referendaria: il sistema dei rimorsi elettorali. Inizialmente essi ammontavano ad una cifra ragionevole: 800 lire per ogni elettore e per ciascuna delle due Camere. Negli ultimi anni la cifra dei rimborsi si è gonfiata a dismisura, fino ad arrivare, nel 2002 e con l’accordo di tutte le forze politiche, a ben 5 euro per ogni elettore e per ogni assemblea rappresentativa. Inoltre, proprio in base alla legge varata nel 2002, anche il calcolo dei rimborsi elettorali riguardanti il Senato deve essere effettuato sulla base del numero degli elettori della Camera; ora, come è noto, i cittadini chiamati ad eleggere i membri della seconda Camera sono meno rispetto a quelli che eleggono i Deputati; ciò significa che le forze politiche dovrebbero incassare un rimborso più contenuto per quanto riguarda il Senato; attraverso l’ escamotage ora illustrato, però, i partiti ottengono un rimborso assai più cospicuo di quello che sarebbe loro dovuto. Volendo tradurre in numeri quanto ora è stato detto, consideriamo che nel 2006 i rimborsi elettorali sono ammontati a 200.819.044 euro! Ogni ciclo elettorale (elezioni politiche, amministrative, europee, regionali) costa alla collettività 1.000.000.000 di euro ogni 5 anni! Tra tanti scandalosi sprechi di denaro, però, c’ è chi, tra i politici, cerca di proporre un’ inversione di tendenza. E’ il caso della tesoriera dell’ Italia dei Valori, Silvana Mura, la quale ha proposto di inserire nella legge finanziaria per il 2007 un emendamento in base al quale i rimborsi devono essere calcolati sulla base del numero effettivo dei votanti ed un altro che abroga una legge votata dal precedente parlamento, in base alla quale i rimborsi sono erogati anche in caso di scioglimento anticipato delle Camere. L’ analisi ora portata avanti evidenzia i notevoli costi, nella maggior parte dei casi ingiustificati, dell’ attività e della burocrazia dei partiti.
Il rimedio proposto da Michele Ainis a questa emorragia di denaro (pubblico) è semplice ed efficace, ma assai arduo da mettere in pratica: ridurre, attraverso una seria riforma del sistema elettorale, il numero delle forze politiche presenti in Parlamento. Oltre che per le indennità ed i privilegi dei loro membri, le istituzioni rappresentative hanno un prezzo per la collettività anche per un’ altra causa: la qualità della legislazione, che spesso è cattiva. Non si riflette abbastanza sul fatto che una legislazione di scarsa qualità influisce negativamente sullo sviluppo economico e comporta dei costi economici per l’ intero Stato.
A questo proposito si deve fare riferimento ad una raccomandazione dell’ OCSE1 del 1995. Essa stabilisce che le leggi degli stati non devono essere contrarie allo sviluppo ed alla libera intrapresa economica. Inoltre la raccomandazione sancisce che non ci deve essere un eccesso di regolamentazione pubblica (ossia un eccessivo numero di leggi) e, soprattutto, che la legislazione deve essere organica e coerente. Questo significa che le leggi devono, nel loro insieme, essere “in armonia” tra loro, ossia devono formare un corpo unito e compatto, privo di contraddizioni. Al fine di realizzare una legislazione organica e di buona qualità l’ OCSE ha stabilito un formulario di 10 domande che il legislatore dovrebbe porsi (ed alle quali dovrebbe, ovviamente, dare una risposta); tra queste figura il quesito su costi e benefici: il legislatore si deve chiedere, cioè, se i benefici che deriverebbero dall’ intervento legislativo giustificano i costi.
Ora, bisogna dire che il nostro Parlamento spesso non si pone neppure questo quesito: molto di frequente, come abbiamo visto, esso approva leggi che aumentano a dismisura i costi, come, ad esempio, quella che, nel 2002 (si ricordi, approvata con l’ accordo di tutte le forze politiche) aumenta fino a 5 euro per ogni elettore e per ogni Camera i rimborsi elettorali. In questa occasione il legislatore non solo non ha tenuto presenti gli altissimi costi derivanti dall’ approvazione di questa normativa, ma non ha tenuto conto neppure del fatto che i benefici che da essa sarebbero derivati avrebbero soddisfatto solo i partiti ed i loro apparati burocratici e non già l’ intera collettività, che per contro avrebbe dovuto sopportarne solo gli oneri. Occorre, tuttavia, menzionare una nota positiva sul fronte della qualità della legislazione: l’ istituzione, nel 1997 presso la Camera dei Deputati, di un Comitato per la legislazione. Esso è un organo parlamentare politico, composto su base paritetica da membri della maggioranza e dell’ opposizione (Deputati) nominati dal Presidente della Camera. Il compito del Comitato è quello di valutare, sulla base di parametri anche tecnici i progetti di legge e di stabilire se essi sono di buona qualità.
I costi degli Esecutivi
In una forma di governo parlamentare, quale è quella italiana, il Potere Esecutivo è espressione della maggioranza parlamentare in quanto legato al rapporto di fiducia con le istituzioni rappresentative. Il governo è, dunque, un’ istituzione che è l’ espressione della volontà popolare e dovrebbe essere, perciò al servizio dell’ intera collettività e della Nazione.
Proprio per queste ragioni appare significativo analizzare quali sono gli oneri che la collettività stessa è chiamata a sostenere per l’ attività del Potere Esecutivo. Anche in questo caso si vedrà che il costo al quale si deve far fronte è elevatissimo. Infatti si consideri che, dal 2001 al 2006 le spese necessarie all’ attività del Governo nella sua sede di Palazzo Chigi a Roma, sono passate da 214.000.000 a 302.000.000 di euro!
E nonostante il nuovo presidente del Consiglio Romano Prodi fosse convinto della necessità di tagliare le spese, queste ammontano oggi, in base alla legge finanziaria per il 2007, a 391.000.000 di euro. Sono aumentati i dipendenti e la spesa sostenuta per essi ammontava, nel 2005, a 134.438.560 euro (nel 2001 la stessa spesa era di 76.653.739 euro).
C’ è poi un gran numero di collaboratori, segretarie e consulenti ed una scorta, costituita di ben 31 uomini (ridotti successivamente a 25), che Berlusconi si assegnò per quando non sarebbe più stato Capo del Governo.
L’ OCSE è l’ Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ed è nata il 12 aprile 1960 dalla trasformazione dell’ OECE, l’ Organizzazione europea per la cooperazione economica. L’ OECE era stata istituita il 16 aprile 1948 al fine di attuare e coordinare il Piano Marshall.
Infine non dobbiamo dimenticare che Berlusconi stipulò un contratto con una emittente televisiva, Euroscena, per la realizzazione degli eventi televisivi del Governo; tale contratto è in vigore ancora oggi, mentre Prodi ha sostituito Berlusconi alla guida del Governo. Non solo, ma Euroscena continuerà, ancora per 3 anni, a confezionare gli eventi televisivi di punta di Palazzo Chigi, richiedendo, ovviamente, la prestazione economica dovuta in base al contratto; e detta prestazione sarà corrisposta con denaro proveniente dai contribuenti.
Ma gli oneri finanziari per il funzionamento di Palazzo Chigi sono dovuti, oggi, anche alla grande massa di sottosegretari, viceministri e Ministri che compongono l’Esecutivo: addirittura 102! Questo aumento abnorme è dovuto all’ esasperata frammentazione partitica della quale si è fatta menzione in precedenza, acuita ulteriormente dalla legge elettorale varata dal centro-destra nel dicembre 2005. Ciò dimostra che, come sostiene Michele Ainis, il nocciolo del problema del prezzo della politica è proprio nell’ eccessivo numero di partiti che compongono il nostro agone politico.
I costi del Potere Giudiziario
Anche il potere giudiziario ha un prezzo non indifferente. Sebbene non faccia parte della politica in senso stretto, esso costituisce uno dei 3 poteri fondamentali di ogni ordinamento democratico e, dunque, deve essere considerato in un’ analisi, quale è questa, incentrata sui costi della politica (intesa in senso lato, come ordinamento democratico). Appare opportuno iniziare il discorso dagli organi giudiziari di vertice: la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione. Per quanto riguarda la prima, dobbiamo subito metter in evidenza il fatto che il Presidente ha una retribuzione di 444.000 euro lordi ogni anno! Egli ha, inoltre, diritto ad utilizzare un’ auto blu e ad una struttura di segreteria (come, del resto, tutti i membri della Consulta). In più, rispetto agli altri membri della Corte, egli può usare i voli di Stato. Gli altri giudici costituzionali possono contare su un compenso di 370.000 euro lordi all’ anno (il 50% in più rispetto al primo Presidente della Corte di Cassazione). Con riferimento alla Corte di Cassazione, il Primo Presidente di questa ha un appannaggio di 246.800 euro lordi all’ anno. Per quanto concerne i magistrati, essi hanno stipendi in linea con il resto d’ Europa e tuttavia spesso aggiungono, al compenso che incamerano come magistrati, quello che spetta loro come docenti universitari. Essi possono, inoltre, contare su ferie annue che durano addirittura due mesi e mezzo! Anche i membri delle Authorities possono contare su ottime retribuzioni. Con riferimento alle Authorities occorre, però, fare una precisazione: esse non possono essere qualificate come organi giudiziari in senso stretto, in quanto svolgono funzioni “paragiurisdizionali” (quasi giurisdizionali), sommate a funzioni “quasi normative” e “quasi amministrative”. Nonostante ciò, le Authorities possono essere assimilate alle autorità giudiziarie. I semplici componenti delle Authorities guadagnano 370.000 euro all’ anno, mentre per i presidenti la retribuzione può arrivare ad un massimo di 444.000 euro, sempre su base annua.
Decentramento amministrativo ed enti locali
Il nostro ordinamento nazionale è fondato, da una parte, sull’ unità e l’ indivisibilità della Repubblica; d’ altra parte esso attua il più ampio decentramento amministrativo. Tutto ciò avviene sulla base dell’ art. 5 della Costituzione, che recita così: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’ autonomia e del decentramento”. Dunque il decentramento amministrativo ha un valore costituzionale e, pertanto, assume un’ importanza fondamentale nel nostro ordinamento giuridico. Scopo principale del decentramento è quello di realizzare un sistema di governo e di regolamentazione il più possibile vicino alle esigenze, ai problemi e agli interessi delle comunità locali e del territorio sul quale queste sono stanziate. Le finalità che un ordinamento unitario ma decentrato, quale è il nostro, sono dunque molto elevate. Tuttavia non si può fare a meno di notare, con rammarico, che molto spesso anche le istituzioni della decentralizzazione (gli enti locali), si trasformano in mero strumento di potere e privilegio economico, con conseguente costo per la collettività. Analogamente a quanto avviene per i Deputati nazionali, anche i Consiglieri regionali possono su compensi assai importanti. La Sardegna elargisce addirittura un’ indennità pari all’ 80% di quella dei Deputati nazionali. A questa vanno aggiunte altre voci, quali la diaria, i rimborsi e le spese di segreteria. Inoltre anche ai gruppi sono somministrati ulteriori fondi, che ammontano a 2.500 euro a consigliere, più altri 6 5.000 euro ai gruppi composti di almeno 5 consiglieri. I consiglieri sardi possono contare, poi, su un’ auto blu con autista quando sono in trasferta a Roma. Lombardia, Lazio, Abruzzo, Emilia-Romagna e Calabria assicurano ai loro consiglieri un’ indennità che ammonta al 65% di quella dei Deputati nazionali. A questi elevatissimi compensi vanno aggiunte le cosiddette “indennità di reinserimento”, che sono delle somme di denaro assicurate a tutti i consiglieri regionali che non sono stati eletti, rieletti dopo la fine del loro mandato o ricandidati. La “ratio” di questa indennità di reinserimento dovrebbe essere ricompensare i consiglieri che non possono essere più tali perché non eletti o non ricandidati, aiutandoli nel reimmissione nelle loro attività lavorative. In passato in Sardegna l’ indennità di reinserimento era pari, addirittura, a 117.000 euro per ogni consigliere. Ora ammonta a 48.000 euro. Di recente anche il Molise ha introdotto il “premio di reinserimento nelle proprie attività di lavoro” per i suoi ex-consiglieri. Per quanto riguarda la Puglia, i privilegi per accordati a consiglieri ed assessori restano intatti anche quando questi non ricoprono più la carica; così l’ ex-presidente della regione Raffaele Fitto aveva ottenuto un’ auto blu. Tale privilegio gli è stato, però, revocato dopo le contestazioni e tuttavia non bisogna dimenticare che l’ attuale giunta regionale di sinistra ha permesso che fossero lasciati intatti alcuni privilegi degli dei politici uscenti: essi possono contare sulla disponibilità di alcune delle automobili noleggiate dalla regione; in più le loro pensioni sono state aumentate. L’ elenco dei privilegi e dei bonus prosegue con l’ “indennità di funzione per i vertici di giunte e commissioni su misura”. In questo campo il record nazionale è detenuto dalla Campania, dove fino al 2005 tali commissioni erano 18. Alla fine del 2006 la regione ne ha abolite 6 (sull’ onda dell’ indignazione). Si consideri che le spese per ognuna delle commissioni su misura ammontano a 180.000 euro e che i presidenti di esse incamerano 1.650 euro in più al mese oltre l’ indennità di consigliere regionale ( che ammonta a circa 7.000 euro). C’ è da dire che l’ abolizione delle 6 commissioni su misura è stata degnamente compensata con un cospicuo aumento dell’ indennità di consigliere regionale, che passa, dal 2000 al 2005, da 18.000.000 di euro a 30.000.000 di euro. Stesso aumento hanno conosciuto i benefits. Per quanto riguarda la regione Lazio, le spese per le attività della presidenza di giunta passano dai 196.000.000 di euro del 2006 ai 256.000.000 di euro previsti per il 2007. Soltanto le risorse impegnate per la rappresentanza del Presidente della regione Marrazzo passano dagli 850.000 euro del 2006 a 1.030.000 euro del 2007. Gli oneri per i gettoni di comitati e commissioni passano da 100.000 a 664.000 euro, mentre le risorse per celebrazioni ed eventi arrivano, nel 2007, a 1.794.000 euro. Ciò che è maggiormente evidente in questa finanziaria regionale per il 2007 è il proliferare delle spese per le attività di comunicazione, che raddoppiano rispetto al 2006: da 4.300.000 euro a 8.079.000 euro.
L’ elenco continua con il cosiddetto “cruscotto”, ossia lo strumento di razionalizzazione della spesa sanitaria2 : il “cruscotto” serve a sostenere il sistema di monitoraggio delle uscite finanziarie per la sanità; esso ammontava, nel 2006, a 2.000.000 di euro. Raddoppia nel 2007, arrivando a 4.000.000 di euro. Il Consiglio regionale costerà, all’ incirca, 63.000.000 di euro; qualche ritocco (al rialzo, ovviamente), è destinato all’ indennità di carica e di missione per i consiglieri e per gli assessori non consiglieri. Dal punto di vista del prezzo della politica e delle istituzioni, la regione Abruzzo è caratterizzata da uno scenario con luci ed ombre. L’ Abruzzo ha proceduto nei mesi scorsi ad una riduzione delle retribuzioni spettanti ai membri dei Consigli di amministrazione degli enti controllati dalla regione. Questa operazione ha consentito il recupero di ben 1.000.000 di euro! Inoltre dobbiamo considerare che sono previsti altri tagli, che saranno effettuati attraverso una profonda riforma degli enti: ad esempio, sono previsti una riduzione delle ASL da 6 a 4, un accorpamento delle aziende di trasporto e la cancellazione (non solo il ridimensionamento) di alcuni Consigli di amministrazione. Per quanto riguarda, invece, gli oneri sostenuti per le attività del Consiglio regionale, essi sono passati da 25.640.000 euro (consuntivo 2004) a 30.695.000 euro (previsionale 2007). A queste cifre occorre aggiungere 500.000 euro di spese per l’ amministrazione e 700.000 euro per la rappresentanza. Tra le regioni più virtuose si segnala la Toscana. Il Presidente del Consiglio regionale, Riccardo Nencini, sostiene che i costi della politica nella sua regione sono più bassi che altrove: il costo annuale per 15 consiglieri è di 2.088.734,4 euro. Per di più la Toscana si trova agli ultimi posti in Italia in fatto di indennità e benefits per i consiglieri; i controlli che garantiscono la piena trasparenza riguardo all’ attività dei consiglieri sono esercitati da tempo ed in modo sistematico. E’ significativo il fatto che le indennità sono tagliate in caso di assenza. E poi, al pari di quanto sta per avvenire in Abruzzo, anche in Toscana si procede ad un riassetto degli enti che fanno capo alla regione. 2 Alla sanità sarà dedicato uno specifico paragrafo in seguito, visti anche gli scandali che investono il settore in questi primi giorni del 2007. 7 Nonostante tutto questo, però, non si può dire che in Toscana sia caratterizzata solo da note positive: infatti, nel giugno 2006, è approvata una “leggina” regionale che interpreta in modo elastico la norma, contenuta nella legge finanziaria per il 2006 (art. 1, comma 54), che prevedeva un taglio generalizzato del 10% per qualsiasi indennità, gettone di presenza e per qualunque utilità, comunque denominata, spettante per la partecipazione ad organi collegiali. Sebbene la norma ora menzionata non lasci spazio a “scappatoie interpretative”, la “leggina” regionale toscana sancisce che, ad eccezione dell’ indennità, tutte le altre utilità saranno calcolate non tenendo conto del taglio del 10%. C’ è da dire che la “leggina” è stata approvata da tutte le forze politiche eccetto i Democratici di Sinistra. L’ escamotage della Toscana è stato utilizzato anche dal Veneto. Anche le province sono enti locali che assorbono (e spesso sperperano) notevoli quantità di denaro. Un esempio in questo senso è dato dalla provincia di Viterbo. Il capogruppo dell’ UDC Francesco Bigiotti ha effettuato calcoli in base ai quali si spendono 850.000 euro in più ogni anno. E ciò soltanto per l’ incarico di DG e l’ istituzione di due nuovi assessorati. Inoltre è stato aumentato anche il numero delle commissioni consiliari, che sono in tutto 8. In questo contesto, ricorda Bigiotti, non bisogna dimenticare che 18 lavoratori cantieristi potrebbero perdere il lavoro a causa della mancanza di fondi; ciò a causa del notevole sperpero al quale ora si è fatto riferimento. Volendo ora fare qualche cenno ai costi delle istituzioni comunali, occorre premettere che spesso anche queste comportano notevoli oneri finanziari. Ad esempio, il comune di Arezzo ha visto crescere, con l’ amministrazione di centro-destra, le spese per alcune indennità. L’ attuale amministrazione di centro-sinistra, tuttavia, non sembra sensibile alla necessità di ridurre gli oneri delle istituzioni comunali. Infatti il Consiglio ha bocciato un significativo atto d’ indirizzo sulla riduzione dei costi della politica, presentato da Manneschi (Città aperta democratici per Arezzo). Anche il comune di Ravenna tenta di ridurre il prezzo derivante dalle sue attività: il consigliere comunale Federico Fronzoni ha proposto l’ emanazione di un codice etico-politico di autoregolamentazione. Per Ravenna il problema maggiore proviene dall’ onere delle società a maggioranza pubblica alle quali partecipa il comune. 5.1 Il prezzo delle istituzioni e della politica in Sicilia: un’ analisi dettagliata Nel discorso riguardante i costi delle istituzioni, la Sicilia merita un’ analisi condotta separatamente. Iniziamo col dire che la Sicilia è una regione a statuto speciale e, pertanto le sue istituzioni, a cominciare dall’ Assemblea Regionale Siciliana (il Consiglio regionale), esercitano i poteri assegnati loro dallo Statuto e si amministrano con una notevole autonomia rispetto alle istituzioni delle regioni di diritto comune. L’ analisi che segue è portata avanti sulla base di uno scrupoloso e dettagliato dossier realizzato da Livio Ghersi3, dipendente dell’ Amministrazione dell’ Assemblea Regionale Siciliana (d’ora in poi ARS), come contributo al programma elettorale di Rita Borsellino per le elezioni regionali dell’ aprile 2006. La prima problematica che il dossier affronta è quella dell’ autonomia. A questo proposito lo Statuto della Sicilia sancisce che le leggi della regione sono approvate dall’ assemblea in piena autonomia, sulla base del regolamento interno dell’ assemblea stessa. Lo Statuto assicura ai consiglieri regionali (che in Sicilia si chiamano Deputati) garanzie ed attribuzioni simili a quelle che la Costituzione repubblicana riconosce ai parlamentari nazionali: l’ iniziativa legislativa, il diritto di presentare interpellanze, interrogazioni e mozioni, l’ impossibilità di essere chiamati a rispondere per le opinioni espresse e per i voti dati nell’ esercizio delle funzioni e, infine, l’ indennità. Proprio con riferimento all’ indennità emergono i primi problemi. Infatti la legge regionale del 30 dicembre 1965, n. 44, stabilisce che ai deputati siciliani si applica la legge n. 1261 del 31 ottobre 1965, ossia lo strumento normativo che disciplina l’ indennità spettante ai membri del Parlamento (nazionale). In pratica i deputati siciliani sono equiparati, nel trattamento economico, ai Senatori. Non solo: in Sicilia si è anche tentato di realizzare un’ equiparazione anche in altri settori (ad esempio il limite alla giurisdizione).
Questo tentativo è stato, fortunatamente, reso vano dalla Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza n. 245 del 13 giugno 1995, ha stabilito che le attribuzioni delle istituzioni rappresentative regionali possono essere analoghe a quelle del Parlamento nazionale, ma non possono essere identiche ad esse, in quanto le assemblee regionali esercitano le loro attribuzioni a livello di autonomia, mentre il Parlamento nazionale esercita le sue a livello di sovranità. Come si può intuire, secondo la Corte Costituzionale (ma anche secondo la logica, credo) le istituzioni regionali, per quanto autonome ed importanti in uno Stato che attua, sulla base della Costituzione (cfr. 3 Livio Ghersi è dipendente dell’ amministrazione dell’ ARS dal 1981. Attualmente svolge la funzione di direttore preposto all’ incarico “Controllo parlamentare e testi unici”. 8 art. 5), il decentramento, non possono essere identificate ed equiparate allo Stato. A mio avviso, però, non è problematico solo il tentativo di realizzare l’ equiparazione per quanto riguarda i limiti alla giurisdizione; suscita, infatti, perplessità anche la norma stabilita dalla legge n. 44 del 30 dicembre 1965, che assicura ai deputati siciliani lo stesso trattamento economico riservato ai parlamentari nazionali. Il problema che l’ equiparazione delle istituzioni regionali siciliane (semplicemente autonome) a quelle statali (sovrane) pone è proprio questo: non si possono parificare le istituzioni autonome a quelle sovrane. Ciò implica anche che l’ ARS non dovrebbe generare gli stessi oneri che si devono sostenere per finanziare il Senato, assemblea parlamentare nazionale. Un altro tema sul quale riflettere è quello delle spese che derivano dalle decisioni prese dal Consiglio di Presidenza dell’ ARS (ma lo stesso vale anche per l’ Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati e per il Consiglio di Presidenza del Senato); tali spese si aggiungono a quelle, già elevate, per il funzionamento dei Gruppi dell’ ARS (o dei Gruppi parlamentari) e a quelle erogate a titolo di rimborso elettorale. Ad esempio, nel caso in cui l’ ARS decida di assumere più collaboratori o di aumentare i benefits per i suoi membri, tale decisione avrà certamente conseguenze sulle risorse finanziarie da destinare per sostenere queste nuove voci di spesa. Inoltre, nel caso in cui si svolgano convegni, mostre, manifestazioni sportive che hanno come sponsor dei politici, i costi di queste iniziative sono coperti dall’ ARS. E’ importante sottolineare che ogni decisione dell’ ARS riguardante le spese è presa sulla base dell’ autonomia regolamentare delle assemblee parlamentari; proprio l’ autonomia permette di adottare, spesso senza domandarsi l’ effettiva necessità dell’ esborso e senza scrupolo di risparmio, decisioni implicanti notevoli oneri finanziari che poi graveranno sul bilancio pubblico e perciò sui contribuenti. Tutto ciò, lo specifichiamo ulteriormente, vale tanto per le assemblee rappresentative nazionali quanto per l’ARS. E se le spese indiscriminate e spesso ingiustificate costituiscono un fatto negativo dal punto di vista etico per il Parlamento nazionale (istituzione sovrana), ancora più negativo è il comportamento analogo assunto da un’ istituzione che, pur importante, è semplicemente autonoma, come l’ ARS. Per completare questo panorama abbastanza desolante dell’ attività e del funzionamento dell’ ARS occorre fare riferimento alla mancanza di trasparenza, particolarmente grave quando si approvano le spese finanziate con denaro pubblico. Proprio a questo proposito, Livio Ghersi sottolinea che il bilancio interno dell’ ARS4 approvato per il 2006 ammontava a ben 149.240.000 euro. Esso è stato approvato il 17 gennaio 2006, quando l’ ARS fu convocata a sorpresa, quindi a scapito della trasparenza. Sempre Ghersi ricorda che il bilancio interno ed il rendiconto consuntivo del 2004 furono approvati in meno di 5 minuti in un’ aula semideserta. Oggi, anche grazie all’ attività di Ghersi, i documenti contabili, sono pubblicati nei resoconti parlamentari e sono distribuiti ai giornalisti. Un’ analisi corretta sui costi ai quali deve far fronte la Sicilia per finanziare le attività ed il funzionamento della sua assemblea rappresentativa deve tener conto anche degli oneri che derivano dalla struttura burocratica dell’ ARS. L’ ARS ha, infatti, una struttura burocratica servente che dovrebbe compiere tutte le attività necessarie affinché l’ istituzione rappresentativa regionale possa funzionare al meglio e svolgere nel migliore dei modi le sue funzioni statutarie. In particolare, per quanto concerne l’ attività legislativa, l’ apparato burocratico servente dovrebbe fornire al legislatore tutti gli elementi necessari affinché esso possa compiere al meglio le sue scelte politico-legislative. Per operare bene, l’ apparato burocratico e, in particolare, il buon funzionario, dovrebbero guidare l’ attività politico-legislativa dell’ ARS al fine di realizzare una legislazione di qualità, basata cioè su parametri simili a quelli previsti nella raccomandazione OCSE del 1995, che sono stati menzionati anche in precedenza nel corso di questo studio (e che spesso, come abbiamo visto, il Parlamento nazionale non rispetta), ossia: omogeneità dei testi, chiarezza, semplicità, proprietà di formulazione. A questo proposito è stata approvata una riforma del regolamento interno che prevede l’ istituzione di un Comitato per la qualità della legislazione (simile a quello, già menzionato, che opera alla Camera dei Deputati) il quale, oltre a valutare i testi legislativi dal punto di vista dei parametri ai quali prima si è fatto riferimento, dovrà esprimere un giudizio sull’ attitudine dei testi a perseguire obiettivi come: semplificazione e riordino della legislazione vigente. Tuttavia questa riforma ancora rimane solamente sulla carta. Per riuscire a realizzare i suoi obiettivi, l’ apparato burocratico dell’ ARS ha bisogno, come è intuibile, di risorse finanziarie. Il problema fondamentale è che, a fronte di elevati oneri finanziari, l’ apparato burocratico dell’ ARS offre controprestazioni di scarsa qualità. Cerchiamo di capire cosa non va. I consiglieri parlamentari dovrebbero essere 50 e sono, in realtà, 39; ciò significa che ci sono 11 scoperti in organico. Per contro, l’ organigramma del vertice burocratico approvato dal Consiglio di presidenza nel 2005 è assolutamente sovradimensionato. Esistono, infatti, 18 figure di vertice, di cui: 1 Segretario 4 Si ricorda che i consigli regionali godono della stessa autonomia contabile garantita alle 2 Camere del Parlamento nazionale. 9 Generale, 2 vicesegretari Generali, 10 direttori di servizio e 5 direttori con incarico speciale. L’ eccessivo numero di persone impiegate nel vertice burocratico dipende dal fatto che non si vuole scontentare nessuno, e quindi, nel momento in cui si assegnano nuovi incarichi di direttore, non si procede alla sostituzione, almeno parziale, di coloro che in precedenza ricoprivano tale incarico. Tutto questo porta al progressivo ampliamento del vertice burocratico, con conseguenze nefaste sia sui costi, sia sul buon andamento dell’ amministrazione5. Per di più, l’ assegnazione degli incarichi avviene spesso sulla base di criteri politici, a discapito del merito e della professionalità. Altra negatività è rappresentata dall’ equiparazione dell’ ARS al Senato della Repubblica per taluni importanti aspetti: primo fra tutti il trattamento economico dei membri. Secondo Ghersi, le finanze regionali non possono permettersi una tale equiparazione, che determina un onere notevole. Inoltre, come anche specificato in precedenza, l’ equiparazione non sta in piedi dal punto di vista giuridicocostituzionale. Esprimiamo qualche cifra per renderci conto di questa problematica. Per quanto riguarda gli anni 2003 e 2004, le spese rendicontate6 per i dipendenti di ruolo dell’ ARS (296 persone) sono state di 30.083.596,79 euro (2003) e di 30.794.620,91 euro (2004). Inoltre, nel 2004 gli oneri per le pensioni per i dipendenti in quiescenza sono state superiori a quelle per i dipendenti in servizio: 32.137.616,92 euro contro 30.794.620,91 euro! Parimenti a quanto avviene per il Senato, poi, si può andare in pensione prima di quanto previsto dalla normativa pensionistica nazionale. Per ovviare a questo sperpero si potrebbe prendere in considerazione la riforma del trattamento economico dei dipendenti dell’ ARS, la quale prevede non più un trattamento onnicomprensivo, bensì la suddivisione della retribuzione in: • Retribuzione tabellare (pensionabile); • Indennità di funzione (non pensionabile); • Altre indennità e forme di incentivazione (non pensionabili). Ora, la riforma è stata recepita in modo che le seconde due forme di indennità sono in aggiunta alla prima, mentre invece, secondo Ghersi dovrebbero essere sostitutive. Ciò permetterebbe di far sì che una parte notevole del trattamento economico non verrebbe erogata a tutti indistintamente, ma solo sulla base degli incarichi effettivamente ricoperti e del rendimento. Ghersi propone poi che l’ equiparazione al Senato, se pure si vuole mantenere, dovrebbe essere fatta non al 100% del trattamento, ma magari al 90%. Poi si potrebbe stabilire, per il personale nuovo, una posizione economica pre-tabellare, più bassa di quella tabellare; si rallenterebbe, in tal modo, la progressione economica della carriera. Esiste ancora un problema importante: quello dei benefits: i dipendenti dell’ ARS percepiscono: 1. cessione del quinto dello stipendio; 2. cessione del doppio quinto; 3. anticipo della buonuscita; 4. mutuo per l’ acquisto della casa di abitazione o, se già posseduta, per la ristrutturazione della stessa; 5. ricacolo della buonuscita secondo le modifiche intervenute nelle tabelle economiche per effetto del parametro con il Senato; 6. effettiva liquidazione della parte residua di buonuscita al momento del pensionamento; 7. monetizzazione delle ferie residue non percepite. Le istituzioni della Sicilia, dunque, comportano un notevole onere finanziario per una regione molto importante e con molti problemi7. Le risorse finanziarie necessarie per foraggiare le istituzioni potrebbero essere utilizzate per altri progetti e per la risoluzione dei molti problemi che la Sicilia deve affrontare. Quello che si critica non è soltanto l’ eccessiva spesa, ma soprattutto la scarsa qualità, i magri risultati, ed il basso rendimento delle istituzioni regionali: infatti si potrebbe essere meglio disposti anche a sopportare maggiori spese, se le istituzioni politiche funzionassero bene e assicurassero prestazioni proporzionate al trattamento economico che ad esse viene assegnato. Il discorso sulla Sicilia e sulle sue istituzioni continua con l’ analisi delle spese sostenute dalla Regione per mantenere i suoi circa 16.000 dipendenti (di cui 2.200 dirigenti). Felice Crosta, dirigente della regione in pensione è stato chiamato dal Presidente Cuffaro a dirigere l’ Agenzia regionale per l’ acqua e i rifiuti. La sua indennità annuale ammonta a 567.000 euro! Altri 2 dirigenti si avvicinano, come compenso, a questa cifra. L’ area dirigenziale della regione costa ai contribuenti 162.000.000 di euro l’ anno. Il principio del buon andamento dell’ amministrazione è sancito dalla Costituzione, all’ art. 97. Il fatto che si tratti di spese rendicontate è significativo, in quanto queste sono effettivamente avvenute e non solo previste. I deputati del Parlamento siciliano costano alla collettività 400.000 euro al giorno.
Per concludere l’ analisi parliamo degli emolumenti dei deputati dell’ ARS. La loro indennità annuale è di 145.000 euro, ai quali vanno aggiunti alcuni benefits: in totale si erogano 3.000.000 di euro per viaggi e trasferte, 5.000.000 per studio, ricerca, consulenza e documentazione. A fine mandato, poi, i vitalizi concessi agli ex deputati ammontano a 19.000.000 di euro. Infine, per coloro che non sono eletti (o ricandidati, o rieletti), c’ è sempre la speranza di conquistare un ruolo di rilievo in agenzie regionali; e nel caso in cui non ci sia posto nelle agenzie esistenti, se ne creano appositamente di nuove! A questo proposito si sospetta che l’ Agenzia per le politiche mediterranee, affidata a Fabio Granata, ex deputato di Alleanza Nazionale. Altra fonte di grande sperpero (senza utilità effettiva) in Sicilia sono i consorzi per il ripopolamento ittico. Essi proliferano a dismisura, soprattutto da quando il Presidente della regione Cuffaro ha deciso di consentire l’ adesione ai consorzi non solo ai comuni costieri, ma anche a quelli dell’ entroterra. Così oggi i consorzi sono 10: quelli originari (3), sono nati nel 1976 (i primi 2) e nel 1997 (il 3°). I nuovi consorzi, quelli creati dopo la decisione di Cuffaro nel 2005 non hanno neppure uffici propri e sono ospitati dall’ assessorato regionale alla pesca. Però costituiscono un costo, dal momento che sono stati nominati (2 volte, a marzo e poi di nuovo a settembre) i commissari straordinari. Questi, ovviamente, hanno assicurata una cospicua indennità. E’ da notare che a settembre uno dei pochi commissari straordinari riconfermati è stato Silvio Marcello Cuffaro, fratello del presidente della regione.
Sanità e lottizzazione partitica: un costo non indifferente
Il sistema sanitario italiano è afflitto da gravi problemi e carenze, come dimostrano anche i recenti scandali che hanno investito uno dei più importanti poli sanitari nazionali, il Policlinico Umberto 1° di Roma. I mali del nostro sistema della salute risiedono, in larga parte, nella lottizzazione partitica, che porta ai vertici dei più importanti poli ospedalieri persone nominate non sulla base di criteri quali il merito e la professionalità, bensì sulla base di criteri meramente politici. A questo proposito è significativo segnalare l’ analisi condotta da Mario Pirani in 2 articoli comparsi sulla “Repubblica” dell’ 8 e del 9 gennaio 2007. L’ elemento più significativo che emerge dall’ analisi è che le responsabilità del degrado non sono da attribuire solo al personale sanitario (medici, infermieri), ma anche, anzi, soprattutto, a coloro che sono ai vertici delle aziende ospedaliere dal punto di vista amministrativo. Come sottolinea Pirani8, i vertici dell’ apparato burocratico sono tutti di nomina politica e soggetti ad una frequente rotazione. Questo significa che, anche se un manager fosse capace, onesto e professionale non potrebbe contare su una prospettiva di lavoro di lungo periodo, necessaria al fine di realizzare i miglioramenti e per il buon andamento delle strutture sanitarie.
La lottizzazione politica costituisce dunque la base, se non di tutti, almeno della maggioranza delle inefficienze e del degrado del sistema della salute in Italia. Essa si traduce in una gestione clientelare e corrotta. Paradossalmente, tuttavia, l’ Italia risulta tra i paesi più virtuosi per quanto riguarda la spesa sanitaria; è quanto afferma un il 4° rapporto Ceis-Sanità, citato da Pirani. Secondo questo documento scientifico la spesa per la salute nel nostro paese ammonta all’ 8,4% del PIL, contro la media del 9,5% dei 22 stati più industrializzati.
Tuttavia, nonostante il nostro essere virtuosi, dobbiamo dire che la sanità in Italia rappresenta un costo non indifferente in quanto, anche a fronte di una spesa contenuta, il servizio reso dal sistema non è efficiente. La gestione corrotta fa sì che il denaro pubblico impiegato per finanziare la sanità non è investito nel miglioramento del sistema, bensì molto spesso serve a pagare gli stipendi agli amministratori ed ai dirigenti delle ASL, scelti attraverso la lottizzazione partitica. Proprio a questo proposito è significativo il commento di un medico dell’ ospedale S. Eugenio di Roma, dirigente del sindacato degli aiuti ospedalieri Anaao, il dott. Giuseppe Montagna, citato da Pirani: “Sono forse medici gli accusati dei tanti episodi di malaffare? Quanti posti letto andranno chiusi per rimediare a quest’ ultima rapina? A quanti medici verrà rinfacciato di aver messo solo 5 punti di sutura invece dei 6 regolamentari o di aver somministrato antibiotici per 24 in più di quanto prevedono le linee guida? Nel frattempo quanti soldi vengono sprecati per stipendi fuori mercato a dirigenti e amministratori, spesso illustri sconosciuti, Cfr. l’ articolo apparso sulla “Repubblica” del 9-1-2007 intitolato “I partiti in corsia”. Cfr, l’ articolo apparso sulla “Repubblica” dell’ 8-1-2007 intitolato “Cifre aride e toccanti di iniquità sanitaria”. Cfr. l’ articolo di “Repubblica” dell’ 8-1-2007 intitolato “Cifre aride e toccanti di iniquità sanitaria”. Il riferimento è all’episodio di corruzione che ha avuto per protagonista “Lady Asl” imposti alle ASL grazie ad una spregiudicata lottizzazione? (…)”. Per contro medici e ricercatori onesti e capaci non possono contare su retribuzioni adeguate ai loro ruoli. Ancora una volta vediamo, così, che il costo della politica nel nostro ordinamento è causato soprattutto dai partiti; ed in questo caso tale costo rappresenta un fatto particolarmente grave in quanto investe un settore, quello della salute, che dovrebbe assicurare il rispetto di un diritto costituzionalmente garantito.
I servizi segreti
Anche i Servizi di intelligence in Italia hanno un costo non indifferente. Pensiamo soltanto alla buonuscita di Emilio Del Mese, Nicolò Pollari e Mario Mori: 1.800.000 euro! In più bisogna aggiungere la pensione, che ammonta alla scandalosa cifra di 31.000 euro lordi al mese! A tale cifra si perviene sommando insieme lo stipendio e l’ indennità di funzione (indennità di silenzio). Si potrebbe obiettare che il lavoro nei Servizi è stressante e altamente rischioso, ma che dire allora del lavoro in polizia? Anche qui ci sono livelli elevatissimi di rischio e di stress; eppure i poliziotti guadagnano molto meno.
La Banca d’ Italia
La Banca d’ Italia costituisce una delle istituzioni che impone gli oneri maggiori al nostro ordinamento. Forse per pudore, gli stipendi del Governatore, del direttore generale e dei due vice-direttori sono segreti! I funzionari generali hanno un compenso lordo annuo di 110.000 euro. I direttori di filiale (oltre 200) conseguono 64.000 euro all’ anno. Allo stipendio vanno, però, aggiunte altre voci: un premio di presenza (una sorta di quattordicesima) è assicurato a chi va in ufficio almeno 241 giorni in un anno. Nel mese di dicembre è prevista, poi, una “gratifica di bilancio”: 18.000 euro per i direttori e 6.000 euro per i funzionari. L’ elenco degli emolumenti prosegue con l’ indennità di rappresentanza, semestrale: essa ammonta a circa 8.500 euro per i funzionari generali, a 4.000 per i direttori e a 1.200 per i funzionari. Sebbene la Banca d’ Italia non sia un’ istituzione politica in senso stretto, essa è un istituto di diritto pubblico; quindi è strettamente connessa con il funzionamento dell’ intero ordinamento democratico, per di più in una materia particolarmente importante quale è l’ economia.
Le istituzioni universitarie
L’ istituzione universitaria dovrebbe essere un esempio di cultura e di moralità. Invece troviamo anche in questo mondo corruzione e clientelismi. I docenti universitari costituiscono una casta intoccabile all’ interno della quale prolifera il nepotismo. I docenti mantengono il proprio posto e lo trasmettono ai parenti, ovviamente a prescindere dal merito e dalla professionalità. Per soddisfare le esigenze dei professori universitari nascono addirittura nuove facoltà. Il meccanismo è simile a quello che abbiamo avuto modo di vedere nel campo delle istituzioni sanitarie: il funzionamento è guidato da esigenze “personali” estranee ai fini istituzionali (la cultura per l’ università, la salute per il sistema sanitario). Tutto ciò rappresenta un costo per la collettività, in quanto, a fronte di spese notevoli da questa sostenuti per assicurare il funzionamento e l’ efficienza dei servizi, non corrispondono adeguate controprestazioni.
Edizione numero: 86 - mercoledì 26 marzo 2008 - Ultimo aggiornamento il giorno 26/03/2008 alle 18.11.00
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Agenzia quotidiana di stampa nazionale per le emittenti radiotelevisive
I costi dell’ istruzione: il caso di Bolzano
Non si deve credere che la corruzione ed i privilegi caratterizzino solamente il sud della nostra penisola. Infatti anche al nord possiamo imbatterci in casi che fanno riflettere: ad esempio, la provincia autonoma di Bolzano, istituita nel quadro della regione a statuto speciale Trentino-Alto Adige, assicura agli insegnanti una remunerazione più alta rispetto al resto d’ Italia. Infatti il contratto integrativo provinciale prevede che, oltre lo stipendio, l’ insegnante debba ricevere anche un’ indennità. Così, ad esempio, se un insegnante ad inizio carriera riceve nel resto d’ Italia 1.174 euro netti al mese, il docente bolzanino può godere di 1.500 euro netti mensili, che sommati all’ indennità di bilinguismo arrivano a 1.624. Alla fine della carriera l’ insegnante alto-atesino si vede assicurato un compenso di 3.200 euro netti (più 200 euro con l’ indennità di bilinguismo). Si consideri che questa cifra corrisponde quasi al doppio del compenso che ricevono i docenti nel resto della penisola.
Una nuova tangentopoli?
Il mondo politico non è tutto privilegi e corruzione. Esistono politici che hanno il coraggio di fare autocritica e di denunciare i costi spesso scandalosi ed ingiustificati del sistema istituzionale italiano: abbiamo visto il caso della tesoriera dell’ Italia dei Valori, Silvana Mura ed anche la denuncia puntuale svolta da Cesare Salvi e Massimo Villone nel loro libro “Il costo della democrazia”. Non possiamo non menzionare poi la posizione, in merito alla problematica oggetto della nostra analisi, del Ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro. Egli pone l’ accento soprattutto sugli stipendi dei politici e sulle scorte. Per quanto riguarda quest’ ultimo punto, nel mirino del Ministro sono, ovviamente, soltanto (ma evidentemente sono molte) le scorte che servono solamente come esibizione di potere. Il Ministro Di Pietro ha affermato di aver eliminato dal suo dicastero decine di lampeggianti blu e di palette. Di Pietro ha poi puntato il dito contro gli stipendi da urlo dei parlamentari ed ha parlato di una nuova Tangentopoli, per giunta legalizzata. Se da una parte il Governo Prodi, anche attraverso l’ esempio del Ministro Di Pietro, dà un messaggio di sobrietà rispetto al Governo precedente, tuttavia abbiamo visto che, purtroppo, la tendenza non è affatto univoca: si pensi, infatti, ai 102 membri del governo resisi necessari al fine di accontentare tutti i 9 partiti che compongono l’ attuale maggioranza. Per di più, nello stesso partito di Di Pietro, l’ Italia dei Valori, c’ è il caso del Senatore Sergio De Gregorio, il quale, tuttavia, è passato al Gruppo misto. Secondo un’ inchiesta del “Sole 24 ore”, De Gregorio ha un passato contabile tutt’ altro che limpido, vista la mole di assegni scoperti e debiti da lui accumulati: il “buco” ammonterebbe ad 1.000.000 di euro! Tale ammontare di debiti ed assegni scoperti deriva dall’ attività giornalistico-editoriale che De Gregorio ha portato avanti prima di passare alla politica attraverso varie società da lui stesso fondate. Per cercare di porre rimedio alla sua disastrosa situazione finanziaria, De Gregorio ha pensato bene di “buttarsi in politica”, con l’ obiettivo di creare una nuova formazione che sia capace di intercettare una grande massa elettorale insoddisfatta tanto di Prodi quanto di Berlusconi. Ovviamente questa formazione (un nuovo partito) sarebbe destinatario di cospicue risorse finanziarie, erogate soprattutto dal NIAPAC (National Italian American Political Action Committee), un’ associazione, o meglio, una lobby politica statunitense. Nel caso del Senatore De Gregorio, dunque, l’ attività politica serve per appianare debiti.
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LINK I costi della politica
Questa notizia sarà pubblicata nel bollettino delle ore 15 del giorno 26/03/2007 ed è tutelata dall'art. 101 della legge 633 del 22/04/1941
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