A tutti i visitatori di "vecchiazzano.it" ed in particolare algil amici che qui ho incontrato. Anche quest'anno ho deciso di annoiarvi con le mie storielle. Voi dovete sapere che ciò che ruota attorno alle problematiche multietniche e/o multiculturali oggi ormai ricorrenti, mi appasionano e coinvolgono in elucubrazioni che sfociano, come in questo caso, in brevi racconti.
Se Vi sarà piaciuto ne sarò lieto, sennò pazienza. Accettate, comunque, i miei più cordiali "auguri di buona pasqua" Giancarlo LOLLI
“Questo è il mio papà!”
Con Annalisa, siamo oggi, in giro per la pianura a sud-ovest di Padova, oltre i colli Euganei. Quella piana costellata di tanti piccoli, e piccolissimi, paesi dediti alla miglior agricoltura di tutto il paese, ma dove spesso trovano spazio piccole aziende artigianali per il restauro e la riproduzione dei mobili antichi. Ci accompagna Montesin, un artigiano fra i più noti della zona e che già ci ha fornito alcuni pezzi d’indubbia qualità e stamani si è dato disponibile per visitare alcuni suoi colleghi/amici alla ricerca di qualcosa che lui non ha, al momento, disponibile.
E’ uno dei tanti giri alla ricerca di questo o quel mobiletto, magari antico, spesso indefinito, che piace tanto ad Annalisa di cercare, ed a me di assecondare. Dopo tutto la campagna è molto bella. Guidare in queste stradine, in mezzo ai campi, con un tiepido sole primaverile che tutto rende luminoso e invitante è già di per se un risultato, se poi si trova anche quel che si cerca tanto meglio.
Seguendo il nostro battistrada, entriamo adesso in un piazzale, fra una fattoria ed un malandato capannone. In piedi vicino al portone già semiaperto ci aspetta un uomo, ben oltre alla sessantina, alto, un poco curvo e dall’aria triste. “questo che andiamo a vedere adesso…” ci aveva anticipato il Montesin, “…una volta aveva una falegnameria e restaurava mobili come faccio io, poi ha avuto dei guai con la moglie e si è ritirato, ma ha ancora diversa roba che potrebbe essere interessante vedere”.
Facciamo le presentazioni, Pietro, questo è il nome, parla lentamente, a voce bassa, quasi sofferente e senza un minimo d’interesse ne di partecipazione, come se la cosa riguardasse un passato non suo o troppo lontano per farlo rivivere.
Ci accingiamo ad entrare nell’ex falegnameria, il capannone, quando dalla fattoria sbuca una bimbetta di pochi anni, quattro o cinque al massimo, corre verso di noi, poi, a pochi passi dal signor Pietro, si ferma, ci squadra con attenta curiosità, quasi diffidente, e, prima che qualcuno di noi abbia il tempo di aprire bocca, si avvicina all’uomo si aggrappa alla sua gamba, ci guarda e, seria seria, ci dice “Questo è il mio papà!” mentre una luce, appena un lampo, le attraversa gli occhi e la fronte tutta.
Biondina e riccioluta, con gli occhi azzurri, minuta nel suo vestitino a fiorellini chiari, non vezzosa, come spesso sanno essere le bambine anche a quell’età, serena ma ferma nel suo messaggio, “Questo è il mio papà!” e, adesso, quegli occhi che ancora non ridono e tutto il suo essere aspettano di sapere se abbiamo capito oppure no.
Quante volte aveva dovuto assistere al disagio del padre: ogni volta che la scambiavano per una più probabile nipotina; ogni volta che fra “Oh, ma che piccola, che carina, ma è davvero sua figlia?”, ed aveva visto il dolore, forse l’angoscia del padre, per una situazione che, pur se da lui provocata, era diventata più grande di lui. L’amore, quasi senile, per una giovane donna dell’est che l’aveva reso padre all’età in cui si è, più normalmente, nonno.
La piccola lo aveva capito? Non so come ma quel piccolo essere aveva capito. Si aveva capito a modo suo probabilmente, non come risultato di un razionale ragionamento, ma aveva capito. Ecco allora che, anticipando tutti, ci dice “Questo è il mio papà!” mentre gli occhi cercano di dirci “Non so farvi un discorso più lungo, ma Voi capitemi”, “Non umiliate il mio povero papà, con domande inutili”, “io gli voglio bene così com’è, io ne sono orgogliosa” e ci ripete “Questo è il mio papà!”.
Noi, folgorati dall’intuizione, forse per il residuo di un’ancestrale capacità telepatica che l’umanità ha perso, ma ancora è accessibile all’innocenza di una bambina, quasi un messaggio subliminale, abbiamo capito, Una rapida occhiata di intesa ed il discorso scorre via senza riferimenti o commenti di sorta.
L’uomo è scosso, ha gli occhi umidi, anche lui ha capito, o forse già gli era successo di essere così soccorso dalla sua piccola figliola. Si china, prende in braccio la coraggiosa bimbetta e tremante la bacia sulla guancia mentre ci dice “si è la mia bambina”. Lei è allegra, finalmente allegra, con gli occhi ridenti propri di una bimba di quell’età. Felice per il successo della sua missione, ci guarda ora senza diffidenza e quando ce ne andiamo ci saluta con grande espansività, felice e spensierata.
Di mobili non se ne parla più. Annalisa ed io passiamo buona parte della giornata a parlare di quanto era accaduto, stupendoci per come entrambi e contemporaneamente avessimo capito quello che la bimba voleva che noi capissimo. Stupendoci per la matura sensibilità e la grande capacità di amare di un cosi piccolo cuore.
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