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Argomento : Parliamo di regione Romagna |
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Gilberto Giorgetti
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26/10/2006
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Senza entrare nello specifico ideologico perché questo sito si interessa di cultura e non di politica (intesa nello stretto senso della parola) si propone di iniziare un confronto sereno su un argomento che dovrebbe coinvolgere tutti i romagnoli e la loro identità regionale, ovvero è giusto che la ROMAGNA diventi una REGIONE propria?
Dato che Vecchiazzano fa parte di questo territorio, potrebbe risultare interessante aprire anche qui un dibattito fra tutti i romagnoli per poter capire l’opportunità o meno di avere una regione propria. Si ritiene di aprire il dibattito con un breve preambolo storico e territoriale per stabilire cosa s’intende per Romagna e da qui proseguire con gli interventi socio-economici-culturali che scaturiranno dalle diverse opinioni che seguiranno.
Dall’invasione longobarda, a differenza dell’Emilia, la Romagna è un territorio dell’Italia settentrionale ben definito, compreso fra l’Adriatico, l’Emilia, la Toscana e le Marche, sufficientemente descritto da una geografia regionale propria, se per definizione regionale s’intendono anche quelle fasce di stacco che solcano un’intera nazione dove per motivi geologici l’insediamento umano è più rarefatto, quasi a descrivere un’etnia “protetta”.
A EST, il primo confine naturale della Romagna è segnato dal Mare Adriatico.
A NORD, il secondo confine, ancora oggi ben definito dalle valli del sistema comacchiese, parte dalla Foce del Reno Primaro e prosegue lungo la linea del fiume Sillaro, fino a Sesto Imolese. Risalendo questo affluente del Reno si giunge ai margini della collina, dove permane ancora una rarefazione urbana che tende a sfumare ad OVEST sul Monte Citerna, nell’Alpe della Futa.
Da OVEST verso SUD, il terzo confine della Romagna si delinea chiaramente lungo i 115 km. che congiungono la Futa con l’Alpe della Luna, fino al Monte Maggiore (m. 1384).
Dal punto di vista geografico, solo il quarto confine, che dal Monte Maggiore ritorna ad EST sul promontorio di Focara, precisamente a Fiorenzuola di Focara, risulta essere il meno consistente sul territorio romagnolo poiché, in gran parte, si limita a seguire la linea spartiacque dei fiumi Marecchia e Conca e poi quella parallela dei torrenti Ventena e Tavollo.
Dal punto di vista storico e geofisico, la città di IMOLA fa parte della Romagna.
Fiumi:
Sillaro (fiume di confine)
Santerno (Imola)
Senio (Castel Bolognese)
Lamone (Faenza)
Montone (Forlì)
Bidente–Ronco (Forlì)
Savio (Cesena)
Rubicone (Savignano)
Marecchia (Rimini)
Conca (Misano Adriatico – Cattolica)
Passi: Futa – Mandrioli – Muraglione
Monti: Citerna – Alpe di S. Benedetto – Falterona – Fumaiolo – Monte Maggiore
La ROMAGNA iniziò a delinearsi con l’invasione longobarda e con l’attestarsi della resistenza bizantina tra il fiume Panaro e la costa. Così la regione che ora comprende l’EMILIA fu conquistata dai Longobardi e divisa in numerosi Ducati, costretta a rimanere per lungo tempo distaccata dall’Esarcato bizantino con capitale Ravenna. Fu in questo periodo che la Romagna prese nome ROMANÌA.
Con la venuta di Napoleone Bonaparte e fino al 1813, le circoscrizioni territoriali assunsero forma dipartimentale e mutarono frequentemente d’ampiezza, prima con la Repubblica Cispadana, poi con quella Cisalpina e infine col Regno d’Italia, per ritornare agli antichi sovrani dopo il Congresso di Vienna: Parma e Piacenza però furono date a Maria Luisa, moglie di Napoleone, e solo alla sua morte ritornarono ai Borboni; comunque, mai più la Romagna, come territorio indivisibile, venne aggregata all’Emilia, anzi, la Romagna, venne compresa nel dipartimento del Rubicone con capitale Rimini e poi Forlì, mentre Bologna fu capitale del dipartimento del Reno e Ferrara del Basso Po.
I moti carbonari del 1831 videro la Romagna molto attiva nella partecipazione rivoluzionaria contro l’Austria. Nel 1848 i Ducati votarono l’annessione al Piemonte e anche Bologna insorse, ma ovunque gli austriaci restaurarono i vecchi sovrani e così nel 1851 la Romagna e Ferrara vennero incluse per la prima volta dai tempi della regione augustea nella legazione di Bologna, col nome ROMAGNE. Così il 1° settembre del 1859 nacque il Governo Provvisorio delle Romagne e nell’occasione uscirono i nove francobolli delle Romagne, stampati dalla “Tipografia Governativa Della Volpe & Sassi”.
Con l’Unità d’Italia, dopo la cacciata degli austriaci, il 25 luglio del 1859, per plebiscito, la Toscana venne annessa al Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II e la Romagna/Toscana, trovandosi verso la pianura romagnola, venne a perdere i residui privilegi di zona di confine.
Nel 1859/60 anche Bologna votò l’annessione all’Italia e per volere del monarca - che intendeva “stemperare nel moderatismo degli ex-ducati il rivoluzionarismo romagnolo” - e sotto la dittatura di Luigi Carlo Farini, la Romagna fu unita all’Emilia, con capoluogo Bologna.
Francobolli di Romagna 1859
Romagna legazione di Ravenna 1783
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Roberto Brunelli
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21/06/2008
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Storia della Romagna
La storia della Romagna comincia prima dell'epoca romana:
La Romagna preromana
La Preistoria
La Romagna fu abitata già in epoca preistorica, come dimostrano vari ritrovamenti: il sito più famoso è quello di Monte Poggiolo, presso Forlì, nel cuore, dunque, della Romagna.
Il Monte Poggiolo è un colle presso la città di Forlì, su cui sorge un interessante castello, purtroppo ancora da restaurare. A poca distanza dal castello, in località detta Ca' Belvedere, sono stati ritrovati, a partire dal 1983, migliaia di reperti litici, manufatti risalenti a circa ottocentomila anni fa, considerati di grande importanza per la conoscenza non solo della storia locale, ma della storia tutta dell'Italia del Paleolitico.
Dagli Umbri ai Celti
I primi abitanti dell'attuale Romagna di cui abbiamo notizia furono gli Umbri e gli Etruschi. Tuttavia, circa nel 350 AC cedettero il passo e il territorio al popolo che dette la prima impronta alla Romagna: i Celti; senza tuttavia scomparire. Infatti, con ogni probabilità, il grande commediografo di Sarsina (oggi in provincia di Forlì) Tito Maccio Plauto era di origine umbra.
Migrati dal nord, i Celti si stanziarono in Italia nella Gallia Cisalpina, che dalle Alpi scende a sud e comprende Pianura Padana, parte dell'Appennino settentrionale e dell'Italia nord-orientale. Tra le numerose tribù celtiche scese in Italia furono i Senoni, i Lingoni, e i Boi quelle di maggior importanza
L'epoca Celtica
All'ondata celtica, gli Umbri e gli Etruschi resistettero militarmente finché possibile, per poi fatalmente soccombere all'esercito avversario. Sconfitti gli Etruschi sul Ticino, i Boi e i Senoni superarono l'Eridano cacciando gli ultimi gruppi di resistenti. Raggiunta la costa adriatica, i Senoni riuscirono ad occupare un vasto territorio i cui confini, come già Livio racconta, furono subito chiari: penetrarono fino alla costa adriatica e occuparono le terre comprese tra il fiume romagnolo Utis (Montone) e il fiume Esino, che scorre presso l'odierna Pesaro. Così, mentre Lingoni e Boi si stanziarono nella pianura Padana settentrionale, i Senoni popolarono la Romagna meridionale spingendosi fino alle Marche.
Oltre a dimostrare un'invidiabile organizzazione militare, i Celti si rivelarono una stirpe civile e rispettosa: l'occupazione dell'attuale Romagna non fu un bieco sfruttamento ma un fertile e duraturo insediamento, che a distanza di oltre 2000 anni ha tramandato tra le altre cose anche il dialetto romagnolo, derivato dal latino ma con un consistente substrato celtico, come ha rilevato il linguista Giacomo Devoto.
L'egemonia romana
L'avvento dei Romani
La permanenza dei Celti fu subito minacciata dalla nuova, emergente, potenza dei Romani. Un pericolo di cui i Celti si resero conto già prima della realizzazione di quella Via Emilia che, iniziata nel 181 AC, sarà il mezzo di penetrazione romana nei territori. Nonostante tutto, davanti all'imminente pericolo Senoni e Boi rimasero disuniti, probabilmente per contrasti sul controllo dei commerci nell'alto Adriatico.
Nel 390 AC, per risposta all'avanzata romana, i Senoni capitanati da Brenno occuparono Roma con un esercito nel quale furono certamente presenti i romagnoli dell'epoca. Ma è Roma la predestinata: nel 295 AC con la vittoria a Sentino iniziò il tramonto dei Senoni, che pochi anni dopo furono definitivamente sopraffatti.
Molte città della Romagna sono di origine romana: Ariminum (Rimini), Forum Livii (Forlì), Forum Cornelii (Imola), ecc.
Epoca Repubblicana
Nel 192 AC, quando Publio Cornelio Scipione (detto l'africano) cacciò i Celti oltre il Po, sarà la successiva battaglia di Milano a scacciare i Galli oltre le alpi e a chiudere il loro dominio dopo oltre tre secoli di stanziamento in Italia e in Romagna.
Nonostante la conquista romana, l'eredità celtica non fu affatto cancellata. L'occupazione fu infatti rispettosa dei predecessori: Senoni e Lingoni non compromessi con Annibale furono autorizzati a rimanere nei territori e, pare, beneficiarono anche della distribuzione e della messa a cultura delle terre attraverso il sistema di centuriazione romana. Con il processo di romanizzazione lo "strato" celtico dei romagnoli non scomparve, ma si sovrappose alla nuova cultura imperante. Sotto il dominio della potenza Romana e al centro della lotta fra Mario e Silla, la Romagna parteggiò per Mario, al quale si alleò anche Ravenna, che eresse in suo nome una statua nel foro. La scelta fu, però, deleteria, perché intere città andarono distrutte nel corso della guerra civile: toccò, ad esempio, a Forlì nell'88 AC. La città venne, più tardi, ricostruita dal pretore Livio Clodio.
Infatti, proprio a Ravenna si diresse la flotta di Metello, luogotenente di Silla, che vi pose il centro delle sue operazioni. Così, diretto verso la via Emilia, Metello interruppe le comunicazioni mariane e poi sbaragliò a Faenza gli uomini di Carbone e Normanno. Successivamente arrivò la crisi della repubblica romana e l'avvento di quei "regimi personali" che culminano con Cesare. Proprio Cesare, che ancora ricorda le narrazioni delle grandi invasioni celtiche, vide nella Gallia Cisalpina la chiave per la conquista dell'impero e un territorio con le migliori truppe. Era infatti la Romagna il consolato più ambito.
Il convegno di Lucca del 56 AC assegnò a Cesare (come stabilito fra lui e Pompeo) il consolato della Gallia per il 48 AC: ma quando il Senato fece retromarcia e intimò a Cesare di cedere il governo della Gallia e sciogliere il suo esercito, Cesare reagì da par suo. Il 12 gennaio del 49 AC varcò il Rubicone, al tempo confine invalicabile per un generale in armi ed oggi corso d'acqua della provincia di Forlì-Cesena, diretto verso Rimini e poi su Roma. Da questo gesto incominciò la sua straordinaria avventura che lo porterà alla vittoria su Pompeo nella battaglia di Farsalo del 48 AC e al definitivo dominio di Roma. Anche in questo caso la Romagna dimostrò una sorta di "vocazione" ai grandi appuntamenti della storia.
Epoca Imperiale
Con Augusto e l'epoca imperiale acquistò crescente importanza Ravenna e il porto di Classe. Come ci racconta Plinio nella sua Naturalis historia, l'Italia è geograficamente suddivisa in 11 regioni. La Romagna è compresa nell'ottava regione, detta Gallia Togata Cisalpina e ha per confini l'appennino, il Po e Rimini, o come dice il Rossetti "il Crustumium, che si ritiene rappresentato dal fiume Conca: quindi con ciò ne risulterebbe un terzo spostamento del confine gallico, il quale sarebbe così passato dal Rubicone al Conca".
La ripartizione del territorio italico cambiò con Traiano prima e con Adriano poi: l'Italia era composta da 18 province, suddivisione approvata da Costantino nel 336 e poi ammessa dall'imperatore Giustino. In questa importante divisione la Gallia Cispadana era separata in due province distinte, decima e undecima, chiamate rispettivamente Emilia e Flaminia e aventi Bologna e Ravenna come capitali. Una divisione significativa di due territori che già allora erano sostanzialmente distinti.
Le invasioni barbariche e l'Esarcato
Dopo Cesare e il successivo potere augusteo la storia della Romagna ricalcò quella di un Impero che dopo secoli di indiscusso dominio inizia a scricchiolare, per poi cedere sotto il peso delle continue invasioni barbariche. Nel 402 Alarico, re dei Visigoti, invase l'Italia e saccheggiò la Flaminia e fece prigioniera Galla Placidia, figlia di Teodosio e sorella di Arcadio e Onorio. Nel 410 avvenne il Sacco di Roma di Alarico.
Sessantasei anni dopo, nel 476: Odoacre, re degli Eruli, scese in Italia, entrò vittorioso a Ravenna e passò a Roma dove depose Romolo Augustolo. Proprio con la data del 476 gli storici hanno concordato la fine dell'Impero Romano e l'inizio del Medioevo (più precisamente l'Alto Medioevo).
A Odoacre seguì Teodorico, che conservò come Odoacre leggi e costumi romani. Fu in questo periodo che avvenne un fatto di eccezionale importanza per la storia romagnola: la nascita nel 585 dell'Esarcato. Fondato dall'esarca Smaragdo, fu una provincia di dominio bizantino con capitale Ravenna, sulla base delle disposizioni imperiali di Maurizio. Similmente al cesaropapismo orientale (poteri temporali e spirituali in un solo uomo) al vertice dell'Esarcato si trovava l'esarca, con pieni poteri religiosi, politici e militari su un territorio comprendente oltre Ravenna anche gran parte della futura Romagna, che includeva anche le città di Ferrara, Bologna e Adria. Le invasioni in suolo italico continuano e nel 568 è il turno dei Longobardi capitanati da Alboino che l'anno successivo si impossessa di Piacenza, Parma, Reggio e Modena. Ma la potenza Longobarda trova proprio nell'Esarcato Ravennate un grande ostacolo.
La Romagna
Nonostante le continue invasioni l'Esarcato (favorito dalla sua ottima collocazione geografica resistette ai longobardi, che non riuscirono a penetrare nel territorio compreso tra il fiume Sillaro e il Reno: l'"insula esarcale" (così veniva chiamata) rimase l'unico punto della penisola retto da leggi, costumi e sistema alimentare di derivazione romana.
È in questa circostanza che sorse il termine Romagna: mentre il territorio sottoposto ai longobardi venne denominato Longobardia (poi Lombardia), l'insula esarcale divenne per contrapposizione "Romandiola", "Romania" e poi "Romagna" Furono secoli decisivi per la caratterizzazione culturale, giuridica, folklorica e produttiva del territorio, ma soprattutto di differenziazione con Bologna che, anche grazie all'apporto longobardo alla sua università degli studi, assorbì fortemente la cultura degli occupanti. Lo dimostra in modo inconfutabile la calata in Italia di Federico Barbarossa contro i longobardi: mentre Bologna partecipò alla battaglia del Carroccio (Legnano) nel 1176 e fece dello stendardo il simbolo del suo emblema municipale, le città romagnole rimasero indifferenti. Forlì, in particolare, desiderosa di conquistare spazi di autonomia dal potere papale i più ampi possibili, cominciò ben presto a coltivare le sue caratteristiche tendenze ghibelline.
La "romanità" di queste zone ha avuto, pare, influenza non piccola anche in campo artistico: secondo Henri Focillon, infatti, l'arte romanica, soprattutto in architettura, deriva dall'adattamento dell'arte imperiale bizantina, ben presente a Ravenna, ad altri ambienti, come quelli rurali, ad esempio. Pertanto, già verso la metà del primo millennio dell'era cristiana, nelle pievi delle campagne tra Ravenna e Forlì il romanico aveva compiutamente assunto quelli che saranno per secoli i suoi caratteri definitivi. Stiamo parlando dell'area allora chiamata "Romània" (da cui l'odierno "Romagna"), cosa che giustificherebbe lo stesso aggettivo "romanico": si tratterebbe appunto dello stile "della Romania".
Diversità storiche fra la Romagna e l'area oggi detta emiliana si riscontrarono in differenti settori della vita economica e produttiva: nelle campagne della Longobardia il ruolo centrale che le città avevano giocato in età romana venne assunto da nuove realtà di stampo rurale come le corti i villaggi o i potenti monasteri di campagna. Al contrario, nella Romania la città continuò a rappresentare - secondo il modello romano - il perno della vita civile, amministrativa, religiosa ed economica.
La valorosa storia dell'Esarcato terminò nel 751, dopo un secolo e mezzo di gloriose vicende, con la conquista da parte del re longobardo Astolfo. Alla conquista longobarda seguì quella Franca: nel 756 Pipino re dei franchi cedette la Romagna al Pontefice Stefano II. Così, dopo una fase di alterne vicende nel controllo politico della Romagna tra i longobardi e l'arcivescovo di Ravenna, l'intervento dei Franchi è decisivo per la soluzione del conflitto in favore della Chiesa.
Comuni e Signorie
Tra la donazione di Pipino e l'epoca dei Comuni e delle Signorie la Romagna fu oggetto di contesa fra Papato ed Impero. Solo nel 1278, Rodolfo d'Asburgo, per ottenere l'incoronazione imperiale, accettò di cederla al Pontefice. In realtà, neanche questo gesto placò le acque: anzi, parte della popolazione e dei signori della Romagna, come è il caso, in primo luogo, di Forlì e degli Ordelaffi, accentuò le proprie simpatie ghibelline appunto in nome della lotta per l'autonomia e l'autogoverno. Insomma, la Romagna tardomedioevale, lungi dall'obbedire compatta al potere temporale della Chiesa, si caratterizzò, come ci racconta Dante, per spirito di indipendenza e per grande rissosità. Come già afferma Vochting: "La storia della Romagna nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento, ha caratteri affini alla storia delle altre parti dell'Italia settentrionale e centrale". In Romagna dai Comuni si svilupparono piccole Signorie che, protette alle spalle dall'Appennino ai fianchi e di fronte dal mare, fiumi e paludi, poterono giocare abbastanza a lungo la loro autonomia con gli stati cresciuti intorno. Poi l'azione dello Stato Pontificio, avviata da Cesare Borgia, pose fine a quella situazione e da allora la Romagna condivise per 350 anni il destino politico del potere temporale dei Papi.
Per quanto riguarda l'organizzazione produttiva, non mancarono nel Medioevo romagnolo piccoli proprietari che lavorarono la propria terra, ma fu un modello molto meno diffuso di quello che prevedeva la distinzione fra proprietà e lavoro, nella quale la prima era dei nobili. Se il romagnolo (l'Esarcato docet) era mal disposto al sopruso, nell'epoca dei signori locali (Malatesta, Da Polenta, Ordelaffi, ecc.) gli antenati dei moderni romagnoli rifiutarono un ruolo passivo nel gioco di equilibri tra papa e imperatore.
Nel 1500 il duca Valentino, su mandato del papa Alessandro VI (che era un Borgia), realizza il Ducato di Romagna sconfiggendo le varie signorie locali e ricalcando sostanzialmente i confini della Romandiola di epoca longobarda. Nel XVI secolo, con la caduta di Cesare Borgia le maggiori famiglie romagnole sono coinvolte nella lotta per il potere locale, una lotta che impedisce l'unificazione della regione, luogo di conquista di potenze esterne come i Visconti, Venezia e il Papato.
Nel 1559 la pace di Cateau-Cambrésis divide l'Emilia-Romagna tra Farnese (duchi di Parma e Piacenza), Estensi (duchi di Ferrara, Modena e Reggio) e Stato Pontificio (Romagna). È un assetto stabile, che resterà immutato per circa tre secoli.
Risorgimento e post-Risorgimento
Nel 1796 arrivarono in Romagna i francesi di Napoleone. Pur nella presenza di alcuni fatti tragici (sacco di Lugo, spogliazioni, pesanti contribuzioni),si può affermare senza dubbio che la calata napoleonica abbia portato una ventata di novità che infiammarono l'animo dei giovani romagnoli. Sorsero nuovi ideali e proprio ora si iniziò a parlare di unità nazionale. È proprio con Napoleone che al territorio romagnolo venne conferito ufficiale riconoscimento con la nascita della provincia del Pino (Ravenna) e del Rubicone (Forlì).
Purtroppo, Napoleone significò anche sommi torti: nel 1800 il Bonaparte chiuse la gloriosa università di Cesena (vecchia di 5 secoli) in parte per non dare concorrenti a Bologna e in parte per fare uno sgarbo a Pio VI, irriducibile avversario cesenate. Quando nel 1815 il Congresso di Vienna ripristinò lo status quo ante i romagnoli non ci stettero: contro il ripristinato potere papale fioriscono società segrete (di matrice anche massonica) e prendono vita rivolte che culminano nei moti del 1820, 1830-31 e 1848.
Piazza Saffi, Forlì.Col tempo, l'opposizione si rinvigorì con la predicazione mazziniana e l'azione garibaldina, che trovarono in Romagna un terreno favorevole al loro diffondersi. L'élite romagnola si adoperò nel risorgimento soprattutto sul versante repubblicano, nonostante la compresenza di patrioti di stampo sabaudo. Ma i romagnoli pagarono un prezzo alto per il loro vigore: dopo la costituzione del Regno d'Italia, la monarchia negò la realizzazione di qualsiasi istituzione autonoma romagnola temendo un eroico furore destabilizzante. Era troppo fresco il ricordo di figure quali Felice Orsini, Piero Maroncelli e Aurelio Saffi. Storiche, politiche, etniche: tutte le oggettive ragioni pro-romagna non superano la pregiudiziale antiromagnola della monarchia.
Nel 1864 cadde definitivamente l'ipotesi, auspicata da Vincenzo Gioberti e Carlo Cattaneo, di organizzare il Regno d'Italia in termini regionalistici e ci si incamminò verso uno Stato accentrato di matrice napoleonica. Le presunte regioni divennero "Circoscrizioni di decentramento statistico-amministrative" senza peso politico, semplici strumenti operativi del potere. Tutto questo nonostante nel 1860 la Commissione istituita a Torino nel 1860 presso il Consiglio di Stato espresse pieno assenso per un'impostazione regionalistica.
Intanto la parola d'ordine rimase sempre "stemperare nel moderatismo degli ex-ducati il rivoluzionarismo romagnolo". Fu questa la ratio che portò Farini a consegnare alla monarchia una regione nata disseppellendo il termine "Emilia", esistito soltanto all'epoca augustea, per la durata di un secolo e per un territorio assai diverso dall'attuale e con la sottrazione di Imola (città in cui Andrea Costa, tra i grandi fautori di quel cooperativismo che tanto darà alla Romagna, fonderà il Partito Socialista Rivoluzionario Romagnolo) alla provincia ravennate a favore di Bologna. Tra le proteste, spicca quella di Carlo Cattaneo.
Guardando la storia, le divergenze tra Emilia e Romagna sono profonde. Bologna è il capoluogo della Romagna quando le città guida sono state Forlì e Ravenna. Bologna non fu sotto i Senoni, si integrò coi longobardi, fu estranea al Ducato di Romagna, ebbe Signorie che mai misero piede in territorio romagnolo. Infine, Bologna provò un trattamento autonomo da parte di Napoleone e la sua importanza nel Risorgimento è sempre stata sul versante liberale.
Italia Repubblicana
Il discorso regionalistico che non si afferma con l'Unità di Italia torna all'ordine del giorno dopo il 2 giugno 1946, entrando nei lavori dell'Assemblea Costituente. A sostenere l'autonomia romagnola sono personaggi come Aldo Spallicci, Giuseppe Fuschini, Emilio Lussu.
La richiesta fu avanzata anche da Molise, Salento, Emilia lunense (ex ducato di Parma) Se la pregiudiziale antimonarchica scompare, l'urgenza di stabilire le regioni nel più breve tempo possibile lascia tutto immutato, eccezion fatta per uno spiraglio democratico: è concesso di rimandare a tempi migliori la questione. Come dirà Palmiro Togliatti:"Noi vogliamo le Regioni nel più breve tempo possibile. Senza porre ostacoli che ci impediscano di arrivare a questo risultato, lasciamo aperta una possibilità automatica di correzioni. Vi è un articolo che lo prevede: applichiamo quell'articolo. Questa è la giusta linea democratica." Rimane ancora aperto il discorso regionalistico. Non sanata dalla costituente, l'ambizione della Romagna di divenire regione autonoma distinta dall'Emilia è sfociata dall'inizio degli anni "90 nell'attività del MAR (Movimento per l'Autonomia della Romagna), fondato dall'onorevole socialista Stefano Servadei, dal senatore democristiano Lorenzo Cappelli e da altri, che tutt'ora si batte per ottenere la regione Romagna, dopo aver raccolto oltre 90.000 aderenti. La norma che potrebbe consentire ai romagnoli di esprimersi con un referendum sulla nascita della nuova regione, aggirando gli ostacoli politico-burocratici che attualmente rendono impossibile lo svolgersi del referendum, è contenuta come disposizione transitoria nel progetto di riforma federalista dello Stato voluto in particolare dalla Lega Nord con il nome di Devolution.
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Roberto Brunelli
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30/07/2009
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L'Alta Valmarecchia dalle Marche passa in Provincia di Rimini. Il Senato ha approvato ieri 28 Luglio 2009, poco dopo le 15, la legge che sancisce il passaggio di sette comuni in Romagna (Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello).
Ora c'è solo da attendere la formalità della pubblicazione della notizia sulla Gazzetta Ufficiale. |
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n. 7241
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